Eltsin ai russi: o me o il Congresso

Eltsin ai russi: o me o il Congresso Il Presidente chiede un referendum per spazzare via i conservatori, il Parlamento lo ferma Eltsin ai russi: o me o il Congresso «Questi deputati preparano un nuovo golpe comunista» L'aula si rivolta, oggi estremo tentativo di compromesso MOSCA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Ancora una volta Boris Eltsin l'irriducibile ha sorpreso tutti, e rotti gli indugi ha aperto una grave crisi costituzionale, lanciandosi a testa bassa contro il Congresso dei deputati, «bastione delle forze conservatrici e della reazione». Nella migliore tradizione leninista, il Presidente russo si è rivolto direttamente al popolo, chiedendogli di scegliere tra lui ed il Congresso, tra la politica di riforme del governo Gajdar e la proposta moderata appoggiata per tattica tanto dai vecchi arnesi del comunismo quanto dal presidente del Parlamento Ruslan Khasbulatov. «Eltsin è un lottatore», dice qualcuno, ma la battaglia si svolge ora su un terreno a lui sfavorevole, e potrebbe rivelarsi una Waterloo. Fino a ieri mattina il barometro della politica moscovita segnava un livello di pressione stabile. La candidatura di Gajdar, che Eltsin vorrebbe vedere primo ministro a pieno titolo, e non solo «ad interim», era stata bocciata, e con essa la proposta di compromesso di Eltsin (vi concedo il veto su quattro ministeri, ma voi mi confermate Gajdar). Eppure tutti si aspettavano il mantenimento dello status quo: Gajdar resta «facente funzioni» di premier, i ministri di Esteri, Interni, Difesa e Sicurezza per ora pure, e tutto viene rimandato ad aprile, al prossimo Congresso. Il sovrano del Parlamento, il ceceno Khasbulatov, ha detto poi che aveva telefonato a Eltsin alle 11 di sera per dirgli che non si sarebbe opposto alla conferma di Gajdar «ad interim»: «Ci eravamo lasciati amichevolmente», ha detto. Il Presidente, però, covava evidentemente del rancore, e da tempo. Secondo le informazioni da noi raccolte, Eltsin ha avuto nella notte una lunga riunione con tre «fedelissimi»: l'ex consigliere di Stato Ghennadij Burbulis, véra eminenza grigia della riforma, l'ex ministro dell'Informazione Michail Poltoranin, e Vladislav Starkov, direttore del settimanale «Argumenty i fakty», che con i suoi 36 milioni di copie è l'organo di stampa più diffuso del mondo. Una strana combriccola, certo, ma così ama risolvere i problemi di Stato Eltsin. Nella riunione è stata messa a punto la strategia da seguire. Il vice-presidente Aleksandr Rutskoj, che da tempo ha passato il rubicone che divide gli eltsiniani dall'opposizione, ha fatto un ultimo tentativo di fermare il Presidente. Inutile. Ieri, all'apertura della seduta congressuale, Eltsin è salito alla tribuna per il suo «j'accuse». «Sono costretto a rivolgermi direttamente al popolo», ha esordito, «le riforme sono in serio pericolo», perché qualcuno ha deciso di ripetere il tentativo fallito con il golpe dell'agosto 1991. Lo scenario dei conservatori, secondo Eltsin, prevede quattro tappe: 1) impedire il lavoro del Presidente e del governo, 2) coprire di poteri e diritti il Parlamento, «difendendolo da qualsiasi responsabilità», 3) bloccare le riforme, 4) al prossimo Congresso, «farla finita con il Presidente, il governo, le riforme e la democrazia». Eltsin si è detto «pentito» di essere più volte sceso a compromessi con un Congresso colpevole di «continue offese, insulti da piazza, cattiverie, rozzezza e volgarità». Il Congresso, e personalmente Khasbulatov, si sono posti «al di sopra di tutti gli organi del potere esecutivo», e somigliano sempre di più al «Comitato centrale del pcus». Con questo Congresso, ha calcato il Presidente, «è ormai impossibile lavorare». Una sola strada rimane, quella del referendum popolare. «Chiedo a voi, cittadini di Russia, di esprimervi», ha detto il Presidente: con me e con le riforme, o con il Congresso, che ha come obiettivo «la restaurazione del sistema totalitario comunista, maledetto dal popolo». Terminato tra il baccano generale il suo intervento, Eltsin si è ritirato a discutere con circa 150 deputati (insufficienti per far mancare il quorum), per poi iniziare subito la campagna referendaria nella fabbrica di automobili «Moskvich», dove il sindaco di Mosca Luzhkov gli aveva preparato una manifestazione di sostegno operaio. Al Congresso, intanto, si scatenava il putiferio. 'Il vice-presidente Rutskoj si è nettamente schierato con l'opposizione, affermando che i consiglieri di Eltsin «devono essere portati in tribunale», e chiedendo un'immediata revisione delle riforme. Così ha fatto il capo del Consiglio di sicurezza Skokov, e i ministri della Difesa, degli Interni e della Sicurezza si sono limitati a dichiarare la loro fedeltà alla legge. A dimostrazione del'timore che tuttavia suscita un confronto aperto con Eltsin, tutti si sono espressi a favore del compromesso. Ed il presidente della Corte costituzionale Zorkin, è arrivato a «intimare» al Presidente ed a Khasbulatov di aprire subito dei nagoziati «pacificatori», proponendosi come mediatore, e minacciando addirittura di procedere contro i due opposti leader in caso di divergenza, per attentato alla Costituzione. Khasbulatov ha fatto montare ad arte la tensione, dando fiato alle trombe di chi parla da tempo di un «golpe bianco» da parte di Eltsin. Al Cremlino è arrivato un pullman di guardie annate di mitra, e con una decisione «segreta» il Congresso ha immediatamente restaurato la disciolta guardia parlamentare. All'appello di Eltsin però hanno risposto solo qualche migliaio di democratici (guidati dal prete-deputato Jakunin, hanno sfilato attorno al Cremlino), ed un centinaio di autisti di camion, che hanno fatto volteggiare i propri bestioni attorno alla Piazza Rossa, sventolando tricolori russi. Calmatasi un po' l'atmosfera, i deputati hanno così bocciato la proposta di Eltsin (referendum a gennaio e, in caso di vittoria, elezioni a marzo), e in una dichiarazione hanno chiaramente indicato lo spazio per il compromesso: se referendum deve essere, che sia allora su elezioni anticipate tanto del Parlamento quanto del Presidente. Ce la farà Eltsin? Il suo, secondo il fido Gajdar, è un passo «arrischiato». Nella stanchezza generale, infatti, il vero pericolo per Eltsin è che a votare sia un'infima minoranza. Il suo destino politico, allora, sarebbe definitivamente compromesso, e la storia darebbe ragione a uno dei leader centristi, l'ex edile Travkin, secondo cui «Eltsin ha esaurito le sue possibilità come Presidente». Fabio Squillante Boris Eltsin saluta con il pugno chiuso la folla dei sostenitori all'uscita del Congresso [fotoap]

Luoghi citati: Mosca, Russia