Ma nelle lettere tenero innamorato

Ma nelle lettere tenero innamorato Ma nelle lettere tenero innamorato PICCOLOTTO, atticciato, senza collo e con un testone a forma di pompelmo, Gottfried Benn, il medico-poeta, che alternava il bisturi con la penna, non era davvero quello che si dice un bell'uomo. Aveva più l'aspetto di un mastino che di un sacerdote delle Muse. Nell'intimità, però, faceva il gattone ed era perfino svenevole. Ciò risulta dalle lettere, ora pubblicate per la prima volta, che egli scrisse a una delle sue amanti: Briefe an Elinor Bùller 1930-1937 (Klett-Cotta Verlag, Stuttgart 1992, pp. 352, DM 42). In precedenza, sempre presso lo stesso editore, erano uscite le lettere a Tilly Wedekind, altra amante di Benn. Le missive sono così leziose e piene di vezzeggiativi, che sembrano scritte da una madre italiana al suo cocco di mamma. La Bùller, a quanto pare, era bruna ed ecco che il poeta, nella lettera del 29 maggio 1935, le scrive: «Mia dolce, piccola morettina, ora tu sei sola nella tua casettina». E come vanno i «dentini»? Fanno ancora male? «Babbino Gottfried» spera proprio di no. A questo punto si potrebbe pensare che Elinor Bùller fosse una fringuella di primo volo. Invece era stagionata come un ulivo e aveva quasi cinquantanni, la stessa età di Benn. I «dentini», dunque, erano dei dentoni, ammesso che li avesse ancora tutti. Non c'è donna di lingua tedesca che non sogni di essere o di diventare attrice. Così anche Elinor Bùller era «attrice» e per giunta «giornalista». Che cosa e come recitasse è difficile a dirsi. Par solo di capire che l'alcova le rendeva più della scena, dato che il poeta le mandava qualche rinforzo finanziario. Non molto, però, in quanto anche nella sua borsa di ufficiale medico, allora di stanza ad Hannover, c'erano più ragnatele che banconote. Ancora peggio, immaginiamo, la Bùller se la sarà cavata con la sua attività di «giornalista», perché faceva errori di ortografia. L'amante glieli correggeva amorevolmente. Di sicuro si può dire solo questo: Elinor, che viveva a Berli- no, era una donna navigata. Se aveva difficoltà con la penna, sapeva nondimeno reggere lo sterzo dell'esistenza. Una volta Benn la chiamò «il cordone ombelicale che mi tiene legato alla terra». Ma qui mentiva, perché di cordoni ombelicali di questo tipo ne aveva almeno due. L'altro era Tilly Wedekind, vedova del drammaturgo. Lo apprendiamo da una lettera che Benn scrisse al suo amico Oelze il 20 agosto 1935, senza però rivelargli i nomi dei due «cordoni». Leggiamone un passo: «Un amore terreno e uno celeste. Rispettivamente da cinque e da sei anni, senza che l'una sappia niente dell'altra. Una buona regia è migliore della fedeltà». Così egli riusciva a districarsi egregiamente tra le due donne, senza che l'una si accorgesse dell'altra, sebbene vivessero tutte e due a Berlino e fossero tutte e due attrici. E c'era anche una terza donna, Herta von Wedemeyer, che diventerà la terza moglie del poeta. Insomma Benn era un cottimista dell'amore e, siccome gli doveva riuscire faticoso scrivere una lettera diversa a ognuna di quella trinità erotica, ne scriveva una che andava bene per tutte, come le circolari. Le lettere alla Bùller e alla Wedekind, per esempio, si somigliano moltissimo. Ed è sorprendente che, scrivendo contemporaneamente alle due donne, egli non abbia mai sbagliato nell'infilare la lettera giusta nella busta giusta. In simili casi, può capitare che si metta la lettera scritta per una donna nella busta destinata a un'altra. Bravo Benn: poeta sì e anche grande, però accorto. Superfluo dire che anche Tilly Wedekind veniva apostro¬ fata con diminutivi e vezzeggiativi poco adatti a una vedova con il certificato di nascita ingiallito dal tempo: «Dormi dolcemente, Tillina! Il tuo letto è meraviglioso in ogni senso». E sarebbe questo 1'«amore celeste»? Però nell'alcova, se non sulla scena, Elinor Bùller doveva essere più brava, tanto che il poeta voleva portarla anche all'altare. Non potè farlo, perché lei aveva già tre matrimoni alle spalle e questo non si accordava con la morale del corpo ufficiali, di cui Benn faceva parte in qualità di medico. Ecco come ce lo descrive dal vivo un vinattiere di Hannover, che nel 1936 lo ebbe spesso ospite nella sua cantina: «Benn veniva da noi con la divisa grigioverde della Wehrmacht, ma anche in borghese. Si metteva sempre a sedere a un tavolo appartato e tranquillo,- con la schiena voltata ai clienti che la sera bevevano il loro bicchiere Lui beveva sempre le sue due mezzette di vino tedesco, che mia madre o io gli portavamo. Allora non sapevamo chi fosse Gottfried Benn: ne fummo informati solo quando egli ci det te da leggere ritagli della stam pa nazista di Berlino. Era sempre molto depresso, sentiva il bisogno di confidarsi con mia madre (a voce molto bassa) e la pregava spesso di sedersi al suo tavolo. Era così piccolo, che i suoi piedi, quando era seduto sulla panca, non toccavano il pavimento». Che strano contrasto, però, tra i robusti pensieri del Benn scrittore e le smancerie del Benn innamorato! Da un lato abbiamo i dentini della brunet tina o il lettino della Tillina, dall'altro l'irruenza di un mu flone, come in questa lettera a Oelze del 10 febbraio 1936: «Se si pone subito il coito all'inizio di una relazione, non ci saranno nevrosi. Se, invece, si comincia operando con amorini, cupidi e altre simili divinità da giardino, e s'intrawede il corpo solo in fondo al viale, allora ci saranno nevralgie in certe parti del corpo». E se la prende con Strindberg, che vuole «elevare» la donna, anziché levarle la camicia: «Quello che è specificamente strindberghiano, il prò blema erotico, risulta oltremo do aberrante e purtroppo un po' comico». Ma un po' comiche, a dire il vero, sono anche queste lettere di Benn a Elinor Bùller. Tutti gli innamorati sono più o meno comici. E c'è un motivo: nell'a more parla direttamente lo spi rito della specie, il quale, come dice Schopenhauer nella sua profondissima Metafisica del l'amore, è troppo grande per es sere contenuto nel petto angu sto di un mortale. Così la con dotta di chi è irretito in questa passione diventa sproporzionata al suo individuo e quindi ridicola. Per quanto definisse il matrimonio una istituzione intesa «a paralizzare l'istinto sessuale», il poeta ebbe tre mogli. La terza, però, era di una generazione più giovane di lui e aveva per davvero «i dentini». A gatto vecchio sorcio tenerello. Anacleto Verrecchia EsGonol^saggi-collage» tra Goethe, arte e nazismo smo, sono tutt'altro che trionfali. La depressione assume carattere ettere amorato l n disegno di Grosz EsGonotra Gono, era una donna navigata. Se aveva difficoltà con la penna, sapeva nondimeno reggere lo sterzo dell'esistenza. Una volta fata con diminutivi e vezzeggiativi poco adatti a una vedova con il certificato di nascita ingiallito dal tempo: «Dormi l n disegno di Grosz

Luoghi citati: Berlino, Hannover