«Taglia sul killer di mio fratello» di Vincenzo Tessandori

«Taglia sul killer di mio fratello» ISSIohe La minaccia da Aosta, l'omicida è condannato in Usa a 15 anni. «Aspetterò che esca di cella» «Taglia sul killer di mio fratello» «L'ha ammazzato, ora deve fare la sua stessa fine» AOSTA DAL NOSTRO INVIATO Si dice: la vendetta è un piatto da consumarsi freddo. E più è freddo, più risulta appagante. «Ma non è vendetta, è giustizia, questa!», protesta Gianni Maggioni, mentre con gli occhi mobilissimi si guarda le mani. Ha 38 anni, media statura, volto spigoloso e scavato, sguardo tormentato. E' nato a Lesa (Novara) ma forse si sente un cittadino del mondo. Fa il pasticciere a Sarre, ma non c'è niente di dolce in quello che racconta e che, l'altra mattina, ha detto al microfono di «Radiouno per tutti». Gli hanno assassinato il fratello, in America, ed ora lui aspetta che l'uccisore esca dal carcere dove dovrebbe rimanere «soltanto» 15 anni. Per applicare un'altra legge, quella del taglione: occhio per occhio e orecchio per orecchio, per intenderci. E se non potrà farlo personalmente, delegherà qualcuno. Tutto comincia nella prima decade del giugno 1988, quando dagli Usa arriva una lettera firmata dai «friends of Ezio Maggioni» e che diceva: «Ezio lost his life early saturday morning», che l'amico era morto quel sabato. Morto ammazzato, si spiegava. «E tutto è crollato, con quella notizia». Erano partiti insieme, i due fratelli, dieci anni prima perché il mito delle Americhe era forte e la speranza grande. «Andammo nei Caraibi, io trovai lavoro come ispettore ai tavoli di un casinò, lui faceva lo chef». Ma neppure il Caribe è l'Eldorado e nel 1984 i due decidono di cambiare. «Tornai in Italia, ma Ezio, che aveva conosciuto a Portorico una ragazza di origine anglosassone, si sposò e si trasferì a Mamaroneck, nella contea di Westchester, presso New York. Si era messo a lavorare al ristorante Flick International. Lavoro, casa e famiglia: questa era la sua vita». Ma qualcosa non funzionò, in casa e in famiglia. Ezio Maggioni e la moglie si separarono e lui lasciò la donna e la figlia Anna, che aveva 4 anni. «Un colpo molto brutto. Non sapeva dove andare finché un amico, un ufficiale di polizia, gli indicò un'abitazione che non lo avrebbe costretto a dissanguarsi». Era, quell'appartamento, al 631 Willow Street, neppure troppo lontano dal luogo di lavoro. Ma era stata, per qualche anno, quella casa il «nido» di una graziosa ragazza, una brunetta che aveva avuto una storia con un giovanottone di colore, Ronald Lofton, di 25 anni. Quand'era finito Ronald non si era rassegnato. Geloso, carico di sospetti, aveva anzi finito per convincersi che quell'executive chef italiano gli aveva scippato la «girl» e si era piazzato in casa. Neppure a pensarci a un chiarimento: è risaputo che quei dannati latin lover non ti lasciano neppure lo spazio per respirare. E allora occorreva toglierlo di mezzo, l'italiano, senza troppe caute¬ le. «Lo ammazzò a coltellate», ricorda Gianni Maggioni. «Mentre mio fratello era al lavoro, penetrò in casa sua e si nascose da qualche parte. Lo aspettò, Ezio rincasò come tutte le sere. Aveva lavorato l'intera giornata, era stanco morto, mi hanno raccontato gli amici. Mangiò qualcosa e poi si sedette in poltrona, davanti alla televisione». Ma anche negli Usa, pare, ogni tanto i programmi fanno «splash» e quella sera la trasmissione era una noia. Così, in breve, Ezio Maggioni si addormentò. E l'assassino uscì dal nascondiglio. Dice ancora il pasticciere: «Lo aggredì col coltello, 40 fendenti, mortale il settimo, si legge sul certificato firmato dal "corcner". Lo colpì alla gola, alla schiena, al petto. Non alle braccia e questo vuol dire che Ezio non ebbe neppure il tempo per tentare una difesa. Poi fuggì. Non l'aveva visto nessuno, la voce del televisore aveva coperto i rumori. L'avrebbe fatta franca sennonché, nella furia di colpire, si era tagliato un dito. La polizia trovò tracce di sangue sulla soglia d'ingresso. C'era l'amico di mio fratello, fra quelli che indagavano, e non si risparmiò nessuno. Venne fatto un controllo ai pronto soccorso: risultò che quella sera in sette si eran fatti medicare per ferite da taglio. Per ognuno fu ordinato il prelievo del sangue. Se fra costoro c'era l'assassino, l'avrebbero individuato grazie al Dna. Soltanto Lofton rifiutò l'esame e, mi hanno detto, sborsò 100 o 120 mila dollari per la cauzione». Al processo la difesa del giovane mostrò di avere poche carte da giocare. E il 4 aprile del 1989 il giudice James R. Cowhey lesse la sentenza di condanna: 15 anni. «Sono pochi, se avesse ucciso un americano sarebbero stati 30, l'ergastolo, se la vittima fosse stata un poliziotto. E questo non è giusto. Per questo, per cambiare una legge ingiusta, ho deciso di aspettarlo, quando esce. Per 15 anni non mi occuperò più di lui, finché resta in carcere ha la vita salva. Ma poi ci arriverò, a questa persona, e gli farò fare la stessa fine che ha fatto fare a mio fratello». Ma come farà a sapere quando verrà scarcerato? «Col denaro si fa tutto». E il perdono? «Il perdono? Sì, sono credente, ma non si può passare così sopra le cose. Ora devo mettere da parte denaro perché se non ci arriverò io, potrà arrivarci qualcun altro. No, non so su che base dovrò muovermi: forse mi costerà 100 mila dollari». Nel «Giorno della civetta» Leonardo Sciascia fa chiedere al capitano dei carabinieri Beilodi, investigatore onesto e dunque scomodo, a don Mariano Arena, «uomo d'onore»: «Le pare cosa da uomo ammazzare o fare ammazzare un altro uomo?». Vincenzo Tessandori «Sto mettendo da parte i soldi per assoldare un sicario Pronto a pagare centomila dollari» Gianni Maggioni, 38 anni, pasticciere di Aosta, che ha deciso di vendicare il fratello