Andy Garcia, un eroe cubano a Hollywood

Andy Garcia, un eroe cubano a Hollywood L'esilio negli Usa, il passato di cameriere per poter recitare, il successo: l'attore si racconta Andy Garcia, un eroe cubano a Hollywood 7/protagonista di «Hero» con Hoffman vuole darsi alla regia LOS ANGELES. Quando una persona famosa arriva aU'Hilton di Beverly Hills, i camerieri non fanno una piega. Tra ospiti, feste di ricevimento, premiazioni l'albergo è sempre pieno di attori, registi, gente nota in tutto il mondo. Ma quando arriva Andy Garcia è un'altra storia. Abbracci, fotografie, pianti, baci, foto di famiglia. L'attore cubano, che nel '90 ha avuto una nomination per il ruolo di gangster buono nel «Padrino 3», non riesce a liberarsi dai camerieri. Per quasi 10 anni, infatti, è stato uno di loro. Per sopravvivere come attore, lavorava qui servendo ai ricevimenti. Adesso Garcia è una star e il '92, con due film da interprete principale, è l'anno della sua conferma. Nel primo film, «Hero» (con Dustin Hoffman e Geena Davis), è un senza casa che, con l'inganno, diventa l'eroe di un'intera metropoli. In «Jennifer 8» è un poliziotto sulle tracce di un pericoloso assassino. Ma Garcia non dimentica. «Non avevo lavoro. Sono ferite di guerra che porti con orgoglio e che costruiscono il carattere». L'attore parla dei suoi film, della sua Cuba, di sesso, di violenza. Si pensa ad attori latinoamericani e si pensa ad Andy Garcia. Che cosa prova a es- VIDEOd Vi// di Curzio Maltese - Sento di aver commesso degli errori piuttosto inusuali per il nostro tipo di filosofìa. In quel contesto avrei dovuto intervenire per modificare qualcosa nell'assetto tattico... - Un'autocritica eloquente, da parte del tecnico parmense (Nevio Scala, allenatore del Parma, e Gianni Cerqueti, giornalista, 90° Minuto, ore 18,25) sere identificato così? «Piacere per il sostegno che ricevo, ma anche un po' di fastidio. Il fatto che uno sia messicano o cubano o nero è secondario. Morgan Freeman non è uno dei più grandi attori neri, è uno dei più grandi attori del mondo. Punto e basta. Aggiungere la parola nero è una forma sottile di razzismo». Eppure lei appena può parla di Cuba, della sua infanzia, del suo desiderio di tornare... «La tragedia dell'esilio è l'esilio. E' un'esperienza che mi ha plasmato quando ero bambino, che ha determinato quello che sono adesso. L'esilio è il mio destino, e quello dei miei genitori che cercavano libertà e democrazia. Ho una grande nostalgia per Cuba e sarei felicissimo di tornare. Ma dovrò aspettare che se ne vada Castro, un uomo che non mi fa compassione perché lui non ne ha avuta per nessuno. Mio padre, avvocato, ci ha allevati a Miami come cuoco. A me non resta che guarda¬ re avanti, con la consapevolezza che tutto potrebbe finire da un momento all'altro e potrei dover ricominciare daccapo». Gli Stati Uniti di Clinton. Se potesse esprimere un desiderio, che cosa chiederebbe? «Ne avrei due. Poter affrontare il problema del razzismo, correggere le tensioni razziali nella nostra società. Il secondo è che Clinton possa mantenere le promesse in termini di protezione dell'ambiente. Oggi a Los Angeles è una giornata bellissima eppure c'è la solita coltre di smog. Se il problema non viene affrontato, i nostri figli non dovranno preoccuparsi per chi voteranno: non conterà più». Lei si è espresso spesso contro la violenza e il sesso nel cinema. Può spiegarsi meglio? «Non mi considero un puritano, ma la nudità sullo schermo non mi piace, non mi mette a mio agio. Penso sia meglio stimolare l'im¬ maginazione, lasciare spazio alla fantasia. Sono d'accordo con Hiteheock: sosteneva che quando hai due persone che si amano disperatamente e che si desiderano tantissimo, più le tieni lontani e più il film diventa interessante. Una volta consumato il sesso diventa una trappola e l'unica via per andare avanti è offrirne sempre di più». E sulla violenza nel cinema, che cosa dice? «I film violenti rendono più violenta la società? Non lo sappiamo. Poiché non lo sappiamo dovremmo ignorare la domanda? E' un'area oscura. Mentre il livello di violenza nella società cresce, tutti dobbiamo dare un esempio, gli attori come i padri». Molti attori, appena raggiunto il successo, iniziano a flirtare con l'idea della regia. Anche lei? «In queste settimane sto terminando il montaggio di un documentario che ho girato sulla figura di Cachao Lopez, il padre del mambo. Poi ho un altro progetto che mi sta molto a cuore. Mi piace moltissimo recitare, per carità, potermi perdere in un mondo fantastico diverso dalla vita normale. Ma mi attrae molto anche la regia, la sala di montaggio, la post-produzione. E adesso sto cercando di raccogliere i soldi e il giusto canale di distribuzione per il mio film». Non basta chiamarsi Andy Garcia? «Sì, se si fosse trattato della storia di un uomo che va a L'Avana con il mitra in mano e fa saltare tutto forse sì. Ma questa è una storia più delicata, la vita di un uomo che gestisce un cabaret nell'Avana di prima della rivoluzione e che è costretto ad abbandonare le sue radici». Lorenzo Sona Nella foto: Andy Garcia nel film «Hero», in cui recita accanto a Dustin Hoffman e Geena Davis. Nella pellicola l'attore è un barbone che, con l'inganno, diventa l'eroe di un'intera metropoli