Lam, il vudu contro le macchine

Lam, il vudu contro le macchine A Villa Medici settanta opere rievocano il percorso del pittore cubano Lam, il vudu contro le macchine Un primitivo d'avanguardia EROMA IGURE femminili o coppie simbolo di fecondità e figure ibride al limite del mondo vegetale o animale che evocano riti magici e danze propiziatorie. Personaggi minacciosi, oggetti di laboratorio, animali carbonizzati che alludono alla catastrofe atomica e foreste tropicali umanizzate da occhi e organi sessuali. Insomma, il senso religioso, e meraviglioso, della cultura primitiva contro la civiltà delle macchine, il mistero della vita contro una modernità disumanizzante e mortifera: questo suggeriscono le settanta opere di Wilfredo Lam proposte nella cornice cinquecentesca di Villa Medici fino al 24 gennaio. L'esposizione, organizzata dall'Accademia di Francia e curata da Giovanni Joppolo e Pierre Gaudibert, comprende pastelli, oli, gouaches, chine e tecniche miste che coprono tutto l'arco della produzione dell'artista cubano nato in un villaggio nei pressi dell'Avana nel 1902 e morto ottantenne a Parigi. E' la prima volta che, grazie ai prestiti dei collezionisti italiani, il nostro Paese gli dedica un'ampia personale e, in tempi di intolleranza e divisioni razziali, la proposta appare quanto mai opportuna. A sottolinearlo, c'è il titolo della mostra, L'éloge du métissage, L'elogio del meticciato, ovvero l'incrocio delle razze, che s'attaglia perfettamente a Lam. Ottavo figlio di un commerciante cinese ottantaquattrenne e di una cubana con radici spagnole e africane, attraverso una madrina guaritrice e sacerdotessa della Santeria, rito che mescola cattolicesimo, magia e animismo, Lam entrò in contatto con la cultura delle sue origini. Ma invece di diventare santero (officiante) o awooato^come avrebbe voluto il padre, che morirà a 108 anni, scelse la pittura e nel dicembre del 1923 s'imbarcò per la Spagna. Ci rimase quattordici anni. Tutto il tempo per studiare i capolavori del Prado - Bosch, Brueghel, Rubens e Goya - la cui influenza, di segno e di satira sociale, s'avverte soprattutto in alcune chine. Nel 1929 mise su famiglia ma due anni dopo la tubercolosi gli uccise moglie e figlio. Scoppiata la guerra civile si schierò a fianco dei repubblicani per la difesa di Madrid e, sfuggito ai franchisti, approdò a Parigi nel 1938 accolto sotto l'ala protettrice di Picasso da cui fu introdotto nell'ambiente artistico e, l'anno dopo, presentato al catalogo della prima personale. Per Lam l'incontro e il sostegno dell'autore di Guernica, che nella sua pittura riconosceva «la voce superba dell'Africa», fu fondamentale. Dopo una prima produzione accademica, quell'autodidatta trovò congeniali le figure dolenti del Picasso «azzurro» e poi, attraverso la sua prima produzione cubista e il confronto con le opere chiave della modernità, elaborò un linguaggio e una tematica originali. I dipinti dei primi anni Quaranta che aprono la mostra rivelano infatti un marcato cubismo picassiano per la ieraticità delle posizioni, la scomposizione dei volumi e i soggetti: donne in piedi o sedute, simbiosi di corpi. Ma i colori polverosi dei pastelli, quei grigi azzurrati o rosati che sembrano velare l'immagine come se emergesse da un sogno, il fogliame e le liane, i tronchi di bambù che qua e là spuntano nello sfondo suggerendo sfocate foreste tropicali creano un clima particolare. Le figure di queste tele sembrano possedute da nostalgia, silenzio, raccoglimento come per l'auscultazione di qualcosa di magico e sovrannaturale. Vi si avverte un'atmosfera surrealista. Infatti a Parigi Lam ha conosciuto anche Breton con il quale nel 1941, dopo il soggiorno marsigliese al castello di Air Bel dove si sono rifugiati gli intellettuali e artisti messi al bando dal Governo di Vichy e dai nazisti, s'imbarcò per l'America. A Cuba, che trovò straziata dalla dittatura di Batista, Lam dipinse il suo quadro più importante, Giungla, una tela di grandi dimensioni oggi al Modem Art Museum di New York, che all'epoca fece scandalo per il groviglio di organi sessuali abbarbicati come altrettanti frutti tropicali a. tronchi d'albero umanizzati. All'Europa che Hitler aveva reso una giungla di mezzi corazzati e campi di sterminio opponeva una natura lussureggiante che sprizzava vitalità. E il contrasto tra ferraglia e boscaglia, come pure il motivo degli uccelli metallici e naturali, seguiteranno a essere presenti nelle opere degli Anni 50 e 60. Intanto, a contatto con la religiosità primitiva dei riti vudu della vicina Haiti, molte sue tele diventano anche tavole di un bestiario fantastico dove natura, uomo e divinità sono motivo di potenti metamorfosi. Lam si mostra sempre più sensibile alla realtà del Terzo Mondo, opponendo la sua spiritualità credente al materialismo dei Paesi industrializzati. Cambia il segno, e la scansione dello spazio. Colpisce ora il movimento, danza o sarabanda, comunque vortice. Pure la frequentazione di Sebastian Matta costituisce una tappa importante per l'evoluzione del suo linguaggio. Nel 1952, i viaggi sempre più frequenti in Europa lo convinsero a stabilirsi a Parigi e, in seguito, la scoperta di Albisola dove costruì una casa e un grande studio lo portò spesso in Italia circondato da artisti quali Crippa, Fontana e Baj. Di sé diceva: «Sono per metà cartesiano e per metà selvaggio». A Cuba tornò nel 1963, invitato da Fidel Castro, e quattro anni dopo organizzò nell'isola il tradizionale Salon de Mai parigino. Arrivarono 150 intellettuali e artisti di tutto il mondo, tra cui Peter Weiss, Michel Leiris e Marguerite Duras. Una notte, tra fiumi di tequila e samba scatenate, ci fu una festa colossale: su un'enorme tela stesa sulla strada principale de L'Avana, gli artisti dipinsero collettivamente una sorta di spirale con al centro delle figure di Lam, intitolato Cuba Collectìva. Dentro c'erano l'euforia e le speranze di chi credeva nella possibilità di coniugare marxismo castrista e libertà espressiva. La storia ha dimostrato il contrario. Ma quel quadro e il meticciato di Lam restano. Paola Decina Lombardi Diceva: «Sono metà cartesiano e metà selvaggio» Un invito di Fidel Castro Wilfredo Lam a Parigi e «Sans titre», un'opera del 1950 Qui sotto: un'acquaforte con gli inquietanti uccelli metallici