Mastella: ora i parliti d escano da tg e giornali di Sergio Zavoli

Mastella: ora i parliti d escano da tg e giornali Mastella: ora i parliti d escano da tg e giornali INTERVISTA «DA CIRIACO ALL'ERA MARTINAZZOLI» E! CCO le memorie di un lottizzatore pentito, di un denudano pentito e forse, toutcourt, di un politico pentito. Clemente Mastella da Ceppaloni, generazione democristiana di mezzo, faccia da buon ragazzone meridionale, è stato un potente dell'era De Mita. Dal 1982 al 1989 portavoce del capo, ha nominato direttori di giornale, vicedirettori, capiredattori, ha fatto assumere o promuovere centinaia di giornalisti della Rai, ha impartito direttive, ha detto la sua su ogni operazione compiuta nel mondo dell'editoria e dell'informazione, quel mondo oggi additato dalle vecchie barbe del potere come fomentatore della destabilizzazione politica che ci condurrà - dicono - sull'orlo del fascismo,, .,. ..„ " Superato ò* «complesso di Anchise», così lo chiama, nei confronti dell'amatissimo Ciriaco, con il quale ha rotto brutalmente, ha subito un po' di emarginazione, ma Martinazzoli adesso'l'ha recuperato nella commissione di partito per l'informazione, dove Clemente annuncia fuochi d'artificio, se non sfracelli. «La de - ci strabilia subito - deve dare immediatamente il buon esempio vendendo la sua quota del "Mattino" di Napoli (il maggior quotidiano del Mezzogiorno, di cui il partito possiede il 49 per cento, ndr) e con essa il diritto a nominarne il direttore». Non è forse contento del direttore Pasquale Nonno? «Non è questo, lo nominammo noi. Ma è uno dei casi più evidenti di occupazione improvvida da parte dei partiti». Si spieghi meglio. «"Il Mattino" è troppo intrinseco al potere, è il crocevia di una somma di vicende locali e nazionali affrontate non dalla parte dei lettori, come sarebbe giusto. "Il Mattino" non morde il potere, tende invece a lasciarsi andare a scontri di corrente». La conversazione intercettata tra il capocronista e il questore è un bello spaccato dell'Italia d'oggi. «Sì, anche perché rivela il criterio dei due pesi e delle due misure: da una parte si appoggia programmaticamente, come rivela la telefonata, il sindaco di Napoli, dal- l'altra si attacca il sindaco di Benevento, rinviato a giudizio per una questione assolutamente marginale». Lasci stare Benevento e ci dica che cosa pensate di fare del «Giorno». «La linea concordata con Martinazzoli è precisa: l'uscita del pubblico dall'informazione. "Il Giorno" va privatizzato subito». Lei che conosce bene De Mita, perché pensa che abbia accettato la nomina a direttore del «Giorno», sostenuta da Craxi, di un suo antico accusatore per l'Irpiniagate? «Lei non lo sa che spesso i giornalisti piegano le ginocchia ai politici? Pensi che io ho nostalgia di Italo Pietra, un socialista sui generis, che faceva un bel giornale pur avendo i partiti come padroni.. Oggi "Il Giorno" rischia invece di diventare la garitta a guardia di Tangentopoli». Visto che è così agguerrito, onorevole Mastella, ci racconti quali sono i direttori in carica che ha contribuito a far nominare. «Nonno, l'ho detto». E poi? «Beh, ricordo quando il presidente della Montedison Schimberni doveva sostituire il direttore del "Messaggero" perché Emiliani aveva litigato con Martelli. Venne a chiederci se Pendinelli andava bene. Noi dicemmo di sì, ma ho l'impressione che in quel caso, come in altri, le proprietà abbiano cercato anche l'assenso*dei partiti di opposizione». n famoso giro delle sette chiese? «Esattamente. E comunque molte volte le nostre indicazioni non sono prevalse. Quando il banchiere Schlesinger venne a chiederci per conto deh'Ambrosiano chi avremmo gradito come direttore del "Corriere" noi indicammo Stille, ma fu nominato Ostellino. Al "Giorno" facemmo di tutto perché rimanesse Zucconi, ma non ci riuscimmo». E alla Rai quanti giornalisti ha messo? «Ai telegiornali praticamente tutti i giornalisti sono entrati non per selezione, ma per spinte politiche. Eppure, anche questi oggi si sentono più liberi. Ciò non toglie che i telegiornali sono un residuato del passato e così i loro direttori. Vespa, La Volpe, Curzi hanno le loro capacità, ma sono la proiezione del cono d'ombra del passato. La loro avventura è finita». Chi vedrebbe al loro posto? «Io personalmente sono per un direttore unico, per un unico telegiornale con edizioni differenziate del servizio pubblico, che tale deve restare, ma recuperando la qualità perduta». Inorai. «Biagi, Levi, Zavoli, Locatelli». Chi dovrebbe nominare questo superdirettore? «Un consiglio d'amministrazione ristretto composto di persone indicate dai presidenti delle due Ca¬ mere». E il direttore generale? Appoggiate la candidatura dell'attuale consigliere Bindi? «No. Bindi è bravo, ma è troppo politico. Ci vuole un vero manager o, ancora meglio, due manager, uno con caratteristiche più editoriali e l'altro per la parte tecnico-amministrativa. Bisogna evitare in tutti i modi che le cattive abitudini dei partiti si perpetuino nella Rai». Anche Berlusconi ha contratto cattive abitudini? «Berlusconi tende agli eccessi, come i contadini vuole spostare i confini sempre più in là. Ma oggi devo dire che durante la segreteria e la presidenza del Consiglio di De Mita noi siamo stati molto prevenuti verso di lui. La politica deve garantire norme neutrali e non osteggiare le singole persone. Mi sembra che ora Berlusconi si stia caratterizzando come meno socialista e che finalmente tenga conto un po' di tutti. Ha troppo potere? Può darsi, discutiamone. Ma vediamo anche se deborda Agnes con la Seat e, se è così, facciamo in modo che non debordi più. Se ci sono distorsioni del mercato pubblicitario riportiamo l'equilibrio. Ma attenzione: bisogna discutere anche della proprietà dei giornali da parte dei grandi gruppi industriali. I politici devono cambiare, ma deve cambiare anche l'informazione». Lei pensa come Craxi e De Mita che c'è un complotto di alta finanza, grande industria e giornali per delegittimare definitivamente il sistema dei partiti? «Niente affatto, non c'è nessuna congiura, né alcun disegno perverso per disgregare il sistema politico, che si è disgregato già da sé. La mia non è la linea vendicativa dei socialisti nei confronti dei grandi gruppi che destabilizzerebbero attraverso i loro giornali. Io pongo una questione di equilibrio del sistema dell'infonnazione». Quale? «Penso che i grandi gruppi possano possedere le banche, ma non i giornali. A me De Benedetti è molto simpatico, ma quando 18 mila dipendenti Olivetti vengono assunti dallo Stato bisognerebbe dire: cari italiani, ora prendete gratis la vostra copia di "Repubblica" perché l'avete già pagata». Ma come si fa se gli editori puri non ci sono più? «Intanto si tratta di stabilire il principio. Se certe cose non sono più consentite ai politici, non devono essere consentite neanche alla grande industria. Ci apprestiamo a preparare una bozza di nuova regolamentazione». La questione deve andare alla Bicamerale per le riforme istituzionali, come qualcuno chiede? «Per carità, la Bicamerale si occupa già di troppe cose». Lo dice in odio al suo ex leader De Mita? «No, oggi abbiamo di nuovo un rapporto di correttezza sul piano personale, quando c'incontriamo ci salutiamo. Anche se ad Avellino, imponendo Gargani come segretario, ha perpetuato i suoi vecchi vizi feudali». Per favore, Mastella, lasci perdere Avellino... «Io, come Martinazzoli e Cossiga, ero contrario alla Bicamerale. Era meglio un'assemblea costituente con poteri forti e durata di un anno. Tra l'altro i 60 componenti della Bicamerale sono stati scelti con puri criteri correntizi. Io, ad esempio, non ci sono perché ho rotto con De Mita». Lei che lo conosce bene, ci dica che cos'ha in testa De Mita. «Il tentativo di De Mita era di fare un'intesa dc-pds sulla quale far convergere il psi. Ma il suo disegno è già fallito. La de è divisa e ha cambiato segretario; il pds è frammentato; il psi è spaccato in due. Il patto simile a quello del dopoguerra vagheggiato da De Mita è ormai una pia illusione. Se la Corte Costituzionale non interviene, si andrà al referendum». Anche lei che ha partecipato per almeno un decennio ai riti peggiori della partitocrazia pensa che Segni sia veramente il nuovo? «Non so se sia veramente il nuovo, ma so che la gente ha questa percezione. Dà l'idea del movimento nell'acqua putrida della cogestione, un movimento che in¬ veste tutto, compresa l'informazione. E' l'effetto farfalla: gli psicologi sociali dicono che un battito d'ali di farfalla a Pechino può diventare un uragano a San Francisco». De Mita e Craxi ignorano questa affascinante teoria? «Ognuno è modellato in un certo modo. Loro pensano che debbano cambiare prima gli altri. Ma la vera moralizzazione della politica si fa con l'alternanza e con il ricambio del ceto politico. La Bicamerale dovrebbe varare un principio basilare». Quale? «Che nessuno può fare più di tre mandati parlamentari. Dopo tre mandati tutti a casa, altrimenti i vecchi si alleano con i nipotini, fregano i figli e perpetuano un potere immutabile. Anche i senatori a vita vanno aboliti. Finito il mandato, a casa, come mister Bush». Lei si ritiene un figlio fregato da De Mita? «Io stesso mi metto in discussione. Non voglio finire come quelli che lei citava: sembrano quelle donne di sessantanni che vanno in giro in minigonna». Non si aspetta una nuova giovinezza con Martinazzoli? «Io, per la verità, sono più giovane di Segni e per mia fortuna mi rendo conto, al contrario di altri, che i meriti acquisiti dalla de in quarantanni ormai non hanno più risonanza. Dopo i fatti di Reggio Calabria, mio figlio è venuto e mi ha chiesto: ma è questa la de?». E lei che ha risposto, visto che Ligato fu nominato presidente delle Ferrovie da voi, quando anche lei era un fervente lottizzatore? «Io mi occupavo di informazione». Ma via, onorevole Mastella... Chi mise Ligato alle Ferrovie, De Mita personalmente? «Di nomine si occupava Misasi. Quei tempi sono finiti». E che tempi ci aspettano? «Un grande passaggio, un cambio di classe dirìgente, come dopo il fascismo». E non spazzerà anche lei? ((Anche dopo il fascismo qualcuno fu recuperato». Alberto Staterà L'ex demitiano, autocritica di un «lottizzatore pentito» «Bisogna privatizzare il Giorno. E la de venda il Mattino» «L'avventura dei tg è finita: ci vuole un solo direttore come Biagi o Zavoli» «Segni? Se non è davvero nuovo, ne dà l'impressione» Da sinistra il leader referendario Mario Segni e il giornalista Sergio Zavoli