L'incubo nucleare non è finito di Aldo Rizzo

L'incubo nucleare non è finito r osservatorio L'incubo nucleare non è finito N questi giorni si è ricordato il cinquantesimo anniversario della «pila atomica» di Enrico Fermi, cioè del primo esperimento di controllo di una reazione nucleare a catena (il 2 dicembre 1942 a Chicago). Uno straordinario successo scientifico, che avrebbe cambiato di lì a poco la storia militare e politica del mondo intero. Cinquantanni dopo, però, la questione è un'altra: l'età nucleare, così innovativa e drammatica, è già finita? O almeno è entrata in una fase discendente? Per certi aspetti, si è tentati di rispondere di sì. Da cinque anni (cioè dal vertice Reagan-Gorbaciov, a Washington, nel dicembre 1987) la tendenza delle due massime potenze nucleari ad accumulare armi sempre più sofisticate e temibili si è interrotta, anzi si è invertita. In quell'occasione si decise lo smantellamento dei cosiddetti euromissili, ed era la prima volta che, anziché concordare un limite massimo, si procedeva all'eliminazione di una categoria di armi nucleari. Per poi arrivare all'accordo BushEltsin del giugno di quest'anno, il quale implicava la distruzione di una parte ingente degli arsenali cosiddetti strategici, cioè orientati non a battaglie intermedie (ammesso che questo abbia un senso, usando armi nucleari), ma allo scontro globale, definitivo. Nel frattempo si era passati dal riformismo gorbacioviano al crollo del comunismo e dell'Urss, il che aveva eliminato il «movente politico» dell'equilibrio del terrore. E poi altri segnali. La decisione della Russia (ex Urss) di sospendere la sperimentazione, anche di «routine», delle testate, alla fine condivisala pure in forma più graduale e tattica, dagli Usa. L'invito di Eltsin a Clinton a un nuovo vertice, subito dopo la sua «iriauguration», per concordare tagli ulteriori, sempre più drastici, delle armi «strategiche». Segnali anche da Paesi «terzi», che hanno sempre guardato con diffidenza alle intese «sopra la loro testa», come la Francia. Che ora prevede, per i prossimi cinque anni, una «erosione progressiva» delle spese per le armi nucleari («Le Monde», 25 novembre). E tutto questo non riguarda solo l'aspetto militare: c'è una riconsiderazione diffusa anche dell'uso civile del¬ l'energia nucleare, che «una volta era vista come l'energia del futuro e che ora sembra a molti Paesi più rischiosa e costosa delle vecchie alternative» («The Economist» del 21 novembre). Stiamo dunque uscendo dall'incubo nucleare, da Hiroshima a Cernobil? Un momento. Per restare all'aspetto politico-militare (quello della sicurezza delle centrali civili, e della loro opportunità, allargherebbe troppo il discorso), almeno due problemi appaiono incombenti. Il primo riguarda lo stesso processo di disarmo: dove andranno a finire le migliaia di testate delle quali si è decisa, sulla carta, l'eliminazione? Non si tratta di schiacciare un bottone per disattivarle, bisogna decidere la destinazione finale del materiale di base (plutonio, uranio arricchito), con una devastante potenzialità radioattiva. L'altro problema riguarda la cosiddetta proliferazione. Vale a dire che, mentre ai livelli alti, si disarma, ai livelli bassi o medi ci si arma. E se, ai tempi dell'equilibrio del terrore Usa-Urss, c'era pur sempre la garanzia di una saggezza, tipica dei detentori del grande potere, che cosa potrebbe accadere quando missili a testata nucleare fossero a disposizione, non soltanto di Paesi come l'India o Israele, ma anche di Paesi come l'Iran, la Siria, la Libia? E quali sarebbero, gli stravolgimenti politici, strategici e persino psicologici in Asia, se la Corea del Nord, ma anche il Giappone, aggiungendosi alla Cina, raggiungessero lo «status» nucleare? Questo, mentre l'ex Urss svende ormai il suo patrimonio strategico al migliore offerente, per un disperato bisogno di valuta forte. No, l'età nucleare non è finita, né volge alla fine. Del resto non finirà mai, perché, com'è stato detto più volte, ciò che è stato inventato non si può «disinventare». Si può solo cercare di controllarlo, e questo oggi è più necessario che mai. Aldo Rizzo :zo^J

Persone citate: Clinton, Eltsin, Enrico Fermi, Gorbaciov