La Svizzera fugge dall'Europa di Lorenzo Del Boca

La Svizzera fugge dall'Europa Vincono i no nel referendum che proponeva lo spazio economico della Cee La Svizzera fugge dall'Europa Una domenica nera per il governo «E adesso la Confederazione è sola» BERNA DAL NOSTRO INVIATO Alla larga dall'Europa. A grande maggioranza la Svizzera ha deciso che continua a fare da sé, gelosa della sua indipendenza, indisponibile a rinunciare alla sua tradizione. Si tiene il suo cioccolato bianco e le sigarette, il franco al galoppo e i forzieri delle banche zeppi di petrodollari «made in Arabia». E' stato sotterrato da una valanga di «no» il referendum che proponeva agli elettori di entrare a fare parte dello «Spazio economico europeo», un passo ancora timido, ma irreversibile, prima di uno più deciso in vista dell'ingresso definitivo nella Cee. Risultati inequivoci: 1.786.121 no, pari al 50,3%, contro 1.763.016sì, pari al 49,7%. In Svizzera occorre anche la maggioranza dei Cantoni e qui il responso è ancora più esplicito: 14 Cantoni e 2 semi-Cantoni hanno respinto la proposta, mentre 6 Cantoni e due semi-Cantoni l'hanno approvata. L'affluenza degli elettori è stata record, appena inferiore all'80%. A Berna è una sconfitta pesante per il governo che «prende atto con rammarico del risultato». Jean Pascal Delamuraz, consigliere federale (che equivale a un ministro) dice che «è una domenica nera». Avverte che è «grave la frattura fra istituzioni e Paese», ma soprattutto che «adesso la Confederazione è sola e sola deve arrangiarsi». Almeno per ora. In realtà, proprio i partiti che compongono la maggioranza (socialisti, democristiani, ma anche il potente partito contadino Uds) si sono presentati distratti e confusi nelle indicazioni, con il risultato di trovarsi, alla fine, divisi da polemiche furibonde. E, poi, le ragioni del sì sono state proposte come se si trattasse di rispondere a una specie di diktat o, almeno, di aderire ad una scelta abbastanza obbligata, giocata tutta in chiave di conseguenze negative in caso di rifiuto. «Non siamo in grado di restare alla finestra. Non possiamo consentire che la Svizzera resti fuori dal processo di integrazio¬ ne europea, isolata economicamente e politicamente». Proprio quello che volevano i supporters del no. Entrare nella casa comune significa dividere i suoi guai. Per quale assurdo masochismo? Gli stipendi che adesso sono alti dovrebbero diminuire per adeguarsi alla politica salariale più contenuta degli altri Paesi. I professionisti - medici, architetti, dentisti, avvocati subirebbero la concorrenza dei colleghi francesi, italiani e tedeschi in grado di lavorare praticando parcelle inferiori. E le industrie, specialmente quelle edili, si troverebbero nelle condizioni di accettare il confronto con imprese straniere negli appalti pubblici con il rischio di uscirne con le ossa rotte. E i pro¬ dotti di qualità? Se la Cee impone dei tetti alla produzione del grano, del latte o del vino, perché non dovrebbe mettere il naso, in futuro, anche nelle fabbriche degli orologi piuttosto che in quelle dei minusieri? Una prospettiva che fa rabbrividire l'individualismo svizzero. I «verdi» del ginevrino Laurent Rebeaud hanno propagandato il sì, ma il Wwf del Ticino e il partito ecologista svizzero si sono battuti per il no. Favorevole il tennista Marc Rosset; contrario - contrarissimo - lo sciatore rivale di Tomba, Pauli Accola: «Se la Svizzera entra in questa See gareggerò per lo Sri Lanka». Per l'Europa: i banchieri, le grandi aziende, l'università, il sindaco e i mass-media; ostili: i piccoli imprenditori, i bottegai, gli agricoltori, le finanziarie. E, tuttavia, questo voto che sceglie l'isolamento sfugge alle ragioni della politica e si spiega piuttosto con il peso che ha avuto l'emozione. Per i Cantoni svizzeri l'Europa è identificata con il Paese che sta al confine. Questo spiega perché quelli romandi, integrati e «amici» con i francesi, non hanno avuto dubbi nell'accettare. Neuchàtel campione dei sì con l'80% netto. Per il Canton Ticino e per quelli tedeschi l'Europa è Italia e Germania, entrambe poco popolari. La tangentopoli di Milano, le carceri affollate di imprenditori, il governo traballante, la lira svalutata non propongono una bella immagine. E gli altri hanno i naziskin e i rigurgiti della destra estrema che evocano antichi ricordi. La Seconda Guerra Mondiale aveva scavato un solco ancora aperto fra questi due versanti e le differenze tornano fuori: «Sono gli stessi, hanno ancora nostalgia di Hitler». Certo, non solo questo. A Uri, nei due Appenzell, a Nidwald o a Glaroma, cuore antico della Confederazione, erano contro l'ora legale perché le mucche non guardano le lancette prima di mangiare o di fare il latte. E adesso sono contrari perché hanno sempre fatto da soli e non vedono il motivo di cambiare proprio ora. Lorenzo Del Boca Tra i contrari il campione di sci Pauli Accola: «Se fosse prevalso il sì, sarei andato a gareggiare per lo Sri Lanka» A Zurigo un fìnto Guglielmo Teli, simbolo della storia svizzera, fa propaganda al no [foto epa]

Persone citate: Guglielmo Teli, Hitler, Jean Pascal Delamuraz, Laurent Rebeaud, Marc Rosset, Pauli Accola, Tomba