PAOLO ROSSI Basta con la satira preferisco il peccato

PAOLO ROSSI Basta con la satira preferisco il peccato Incontro con il comico che stasera su Raitre conclude «Su la testa!», l'addio è dedicato a «quelli che verranno» PAOLO ROSSI Basta con la satira preferisco il peccato MILANO. «Come va? Stanco, stanco. Meno male che è finita. Sono arrivato in tv con una cassa di idee, 'na cascia, come diceva Eduardo. Ora basta, leviamo le tende e ci spostiamo in un altro punto del deserto. Come i Tuareg». Il deserto là fuori è Baggio. Purgatorio di periferia, nebbia e pendolari. Al tendone dove si prova l'ultima puntata di «Su la testa!» si arriva dopo aver sbagliato tre volte strada e inseguito le note di un sax. Dentro la baracca (la «redazione»), Paolo Rossi non smette di agitarsi, Cammina su e giù come un gatto randagio, tormenta col pugno la barbetta, si ritira a pensare nel guscio di pelle nera del giubbotto. Gino (Vignali) spiega: «Crea»* Poi si ferma e annuncia «Stasera si recita a soggetto. Nel senso che non sappiamo più che cazzo dire». La puntata di addio è dedicata brechtianamente a «quelli che verranno». Ma anche o soprattutto! a quelli che c'erano. C'era una volta Enzo Jannacci, che torna a cantare vecchie canzoni («Il primo furto», «Il bonzo», «Senza i danè»). C'erano una volta i Comedians dell'Elfo, organizzati, da uno sfigatissimo Gabriele Salvatores: prima, molto prima dell'Oscar. C'era perfino lui, il mitico Evaristo Beccalossi, croce e delizia dei tifosi interisti, che fallirà anche l'ultimo rigore. C'era una volta Milano, che secondo Tommaso Landolfi non è mai esistita e secondo Cochi Ponzoni, semplicemente, «non c'è più». n successo di «Su la testai» non si misura con l'Auditel, ma con le volte che un ragazzo ti dice «di' giuro», «forse, ma fooorse». Nasce tutto da un felice equivoco. Che si tratti di una trasmissione «tutta da ridere». Una banda comica alla Arbore, alla «Avanzi». Quando invece è tristissima, avvolta in una malinconia da circo, con punte di ilare disperazione. E in più malata di un sentimento che i gio¬ vani ammiratori di «Paolino for president» colgono al volo: la nostalgia di qualcosa che non si è vissuto. «Mi dicono che hanno fatto la coda dalle 5 del mattino per un biglietto. Io alla loro età 10 facevo per Fo, Jannacci. Nessun paragone, naturalmente. E' soltanto per dire che li capisco. Per me Dario, Enzo, o Strehler di tanti anni fa, erano i miti, le storie che avrei voluto vivere. Una Milano perduta. Quando siamo arrivati i teatri chiudevano, il Derby era ormai 11 Cotton Club del cabaret, sulla Palazzina Liberty di Fo incombeva lo sfratto. Il Piccolo era diventato un'istituzione imbacuccata. Siamo cresciuti tra i racconti di vita quotidiana di Enzo, Cochi, Dario, che ci parevano favole. Noi venivamo dal deserto creativo. Ci siamo arrangiati emigrando da un tendone a un altro, da un Crai a una casa occupata. Mentre i più intelligenti facevano i danè con Berlusconi e con la pubblicità. Alla fine rimane questo rimpianto da sradicati». Non la metterei così dura. Salvatores ha preso l'Oscar, Gino e Michele sono tra gli autori più corteggiati d'Italia, lei, Rossi, ima specie di culto. Stefano Benni e Michele Serra, compagni di strada, gli scrittori più letti. E' che le cose stanno cambian- do. Gli Anni Ottanta sono finiti. E' diventato ottimista perfino Benni, che è tutto dire. Siamo arrivati al capolinea, alla periferia di un certo stile di vita, della stessa televisione. Due o tre anni fa "Su la testa!", così sporca e buia e povera, non sarebbe passata. Adesso c'è anche Gad Lerner. Lui fa con il talk show quello che io ho fatto con la comicità in tv». Un tram che scarica centinaia di giovani davanti a un tendone. Dove li portate? Eravate partiti due mesi fa da Tangentopoli e finite con le poesie. «Guardi, a me la satira politica ha stufato da un pezzo. La inserivo per puntellare le storie. Anni fa la gente certe cose le sospettava soltanto e rideva alle battute. Oggi le sa dai giudici e non ride più. In assoluto, questi leader politici sono dei poveret- ti. Perché perdere tempo con loro? Preferisco parlare dei sette peccati capitali che di Craxi». Lo spieghi a chi la vorrebbe presidente del Consiglio o sindaco di Milano, davanti a Berlusconi, Bossi, il cardinal Martini. «Bella classifica. Ma fa un po' paura. I comici danno la linea politica, i presentatori garantiscono la democrazia. Si finisce per votare un simpatico pirla come Ross Perot presidente dell'America...». E se fosse un gioco? «Io davanti a Silvio, beh. A Berlusconi, a parte la tessera 625 della P2, non perdono tante cose. Ha messo un cartellino col prezzo su tutto. Comici compresi. E' passato come il generale Custer tra gli indiani. Ricordo quando i cacciatori di teste della Fininvest venivano allo Zelig, in viale Monza. Ci strappavano talenti a suon di dollari, li portavano al "Drive in" e dopo sei mesi erano tutti in analisi. Su Bossi ho già dato. Il cardinal Martini non lo conosco. Devo ammettere che il suo spot antidroga era il meno peggio dei tre. Certo che se si pensa di convincere un tossico con i messaggi di un poliziotto, una scienziata e un cardinale, andiamo bene... Oppure con Masini: "Perchè lo fai?", pensa te». La tv è come il r incoglioni mento, se lo conosci Io eviti. Parole sue. E adesso? «Per 12 anni non potevo farla perché ero atipico. Come Beccalossi. Ora ho successo perché sono atipico. Va' a capire». Così si è mantenuto puro... «Ma no, qualche compromesso l'ho fatto. In tv e al cinema». I film dei fratelli Vanzina, per esempio. «Ma non rinnego nulla. Perchè bisogna difenderli i comici. Da vivi. Da morti, Totò insegna, ci pensano i critici. E poi, guardi, mi vergogno molto di più per aver frequentato i teatri stabili. A Raitre è stato diverso. Gugliel¬ mi mi ha lasciato fare quel che volevo. Cioè, lavorare con gli amici, come in teatro. Così non me ne sono neanche accorto di fare tv». Gli altri sì, però. Verranno i premi, i riconoscimenti, critiche, mode, poi si entra nel tunnel e ci si ritrova a far l'ospite d'onore tra risate preregistrate. Lo sputtanamento. «Troppo tardi, ho 38 anni. Però, siccome un po' cialtrone lo sono, per non correre rischi, smetto». Se non avesse fatto il comico? «Il giornalista sportivo, il calciatore, il chimico. Sono perito chimico. La comicità c'entra molto con la chimica. Oppure, per restare nel ramo, il clown. Ne ho visti di straordinari, russi, passati alla storia per una gag. L'avevano provata mesi e mesi, l'avrebbero fatta tutta la vita». «Paolino, un'altra intervista? Lassa stàaa...». E' arrivato Enzo Jannacci, padre putativo («Ho fatto con lui quello che Fo aveva fatto con me»). Ci sono anche gli altri. Cochi e Jannacci non si vedono da un po' e attaccano con i ricordi delle tournée di piazza. Gino e Michele regolano il traffico. Intorno, nella baracca vicino al tendone, gli attori ripassano i personaggi. Lucia Vasini, spalle al muro, indica le uscite di sicurezza. Cornacchione affabuia nel vuoto. Maurizio Milani, lo stragista, incespica in un'assurda rivendicazione. Da un angolo arriva l'accento siculo di Antonio Albanese, in arte Alex Drastico, alle prese con un incubo: «E così, domenica sera, mi piazzo come sempre davanti al televisore. Sigaretta accesa, telecomando in mano, faccio per girare su Raitre. E là dove c'era "Su la testa!": nulla. Vuoto. Deserto. E allora mi domando: ma chi, ma come, ma chi c...» Curzio Maltese «Siamo al capolinea Non perdonerò mai Berlusconi: ha strappato talenti a suon di dollari, ma dopo 6 mesi erano tutti in analisi» Enza jannacci. A destra in alto: Dario Fo. Di loro Aossi dice: «Per.me erano i miti, le storie, che avrei voluto vivere» r

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