Somalia, l'America allerta nuove truppe

 Somalia, l'America allerta nuove truppe Per ora la gente è con Bush ma Carter è critico e il New York Times solleva dubbi sull'intervento Somalia, l'America allerta nuove truppe Ilgenerale Aidid: la spedizione Onu è un complotto NEW YORK NOSTRO SERVIZIO 128.000 soldati americani destinati all'operazione Somalia dovrebbero essere sufficienti, ma non è detto che «il loro numero non venga aumentato». Lo ha detto ieri il generale Colin Powell, capo di stato maggiore, secondo il quale «non bisogna concentrarsi tanto sul numero di soldati quanto sulla missione da compiere». Dunque, prima ancora di cominciare, l'operazione «Restore Hope» rischia già di dilatarsi, sia per quanto riguarda il numero dei soldati, sia per quanto riguarda i tempi della missione. George Bush vorrebbe vedere di nuovo a casa i soldati entro il 20 gennaio, cioè il giorno in cui trasferirà i propri poteri a Bill Clinton. Ma è quasi certo che non sarà così. L'inizio effettivo dell'operazione dovrebbe avvenire martedì, con lo sbarco dei 1800 uomini che a bordo di tre navi da guerra sono già da giorni al largo di Mogadiscio. Il loro compito dovrebbe essere quello di provvedere a tutte le necessità logistiche e immediatamente dopo dovrebbero arrivare i 16.000 marines di Camp Pendleton (in California) e i 10.000 soldati di Fort Drum (nello Stato di New York). Prima che tutti siano ben installati, dicevano ieri al Pentagono, si calcola che ci vorranno dai quattro ai cinque giorni, per cui il vero inizio del «lavoro», quello di scortare i convogli umanitari che partiranno da Mogadiscio per le varie regioni della Somalia, è previsto per la fine della prossima settimana. Destinate a «fare la guardia da lontano» ci saranno le tre navi già menzionate, che sono la «Tripoli», la «Rushmore» e la «Juneau», cui si aggiungeranno la portaerei «Ranger», l'incrociatore «Valley Forge» e la torpediniera «Kinkaid». Il mantenimento del numero defili uomini a 28,000 o la jlecisionéWamrentarfo sono legati a due fattori, dicevano sempre ieri al Pentagono: uno è ciò che effettivamente faranno i vari Paesi che hanno promesso di partecipare all'operazione. L'altro è ciò che concretamente le truppe americane troveranno: vale a dire se dovranno davvero combàttere, quanto quegli eventuali combattimenti si riveleranno duri, eccetera. I segnali provenienti dalla Somalia sono decisamente ambigui. A Washington non sono ben sicuri di quante e quali, fra le fazioni somale che si contendono il controllo del territorio, accetteranno di «collaborare» e quali invece saranno ostili. Uno dei «signori della guerra» contro cui questa spedizione è stata decisa, il generale Aidid, ha detto ambedue le cose. Esistono infatti alcune sue dichiarazioni rilasciate a Mogadiscio in cui manifesta il suo favore all'arrivo degli americani. Ma in altre dichiarazioni ha addirittura definito l'intervento americano come «una cospirazione» e ha inviato una lettera di protesta all'Onu affermando che la decisione del Con- siglio di sicurezza «mira a portare forze straniere nel Paese e ad intralciare le operazioni umanitarie». L'entourage del generale Aidid se la prende anche con la possibile partecipazione italiana, dicendo che essa è decisamente inopportuna visto il passato coloniale dell'Italia e il sostegno dato per lunghi anni a Siad Barre. In sostanza, i «boys» americani non sanno bene a cosa stanno andando incontro e anche tra la gente, ieri, si percepiva una strana atmosfera: c'era un moderato orgoglio per la causa «nobile» di andare a «salvare gli affamati», ma c'era anche una sòrta di sorpresa per la fretta con cui tutto si è svolto, senza preparare l'opinione pubblica, come invece si verificò in occasione della guerra del Golfo. Un sondaggio prontamente condotto per conto di «Newsweek», dice comunque che il 66 per cento della popolazione approva la decisione di George Bush, ed anche alcuni dei gruppi che finora hanno organizzato gli aiuti hanno salutato con favore l'operazione, che del resto auspicavano da tempo. Ieri le televisioni hanno mostrato le case di alcuni dei soldati che stanno per partire. Con le loro famiglie, era no impegnati in un cenone nata lizio anticipato. La decisione di Bush ha sollevato un dibattito dalle svariate implicazioni. Una è che con il lancio dell'operazione «Restore Hope» il Presidente ha in pratica aggiunto una nuova «voce» a ciò che rende «legittima» un'opera zione militare americana: alla difesa degli interessi strategici, a quella degli interessi nazionali e a quella della salvaguardia della vita dei cittadini americani, si è aggiunta la voce «salvataggio di popolazioni affamate», che però si sa dove comincia ma non dove finisce. «Quanta fame è quante violazioni dei diritti umani sono necessarie - si chiede il New York Times - per giustificare un'azione americana? Se è legit tima in Somalia perché non lo è in Bosnia? E se lo è in Bosnia perché non nel Kurdistan? E Haiti?». La conclusione è che quella difficile «linea rossa» dovrà essere Bill Clinton a tracciarla, e questo porta alla seconda implicazione: quella di un Presidente in partenza che, come dice sempre il New York Times, ha compiuto «un drammatico decollo, mentre l'atterraggio dovrà compierlo il suo successo¬ re». Ancora più critica la posizione dell'ex presidente Carter: «L'operazione in Somalia - ha detto - costerà 300 miliardi di dollari, per i primi sei mesi. La situazione non si sarebbe deteriorata fino a questo punto se la Casa Bianca avesse prestato più attenzione ai problemi del Corno d'Africa». Franco Patita relli ìg§|| Oceanside, California: i malines telefonano a casa prima di partire per la Somalia [FOTO Al»)