Signorino, una lettera killer di Francesco La Licata

Signorino, una lettera killer Anche da Tommaso Buscetta accuse contro il magistrato Signorino, una lettera killer Dopo averla ricevuta si è sparato PALERMO DAL NOSTRO INVIATO E' Tommaso Buscetta, forse, la causa dello sconforto in cui era piombato il giudice Domenico Signorino. Nel senso che, anche don Masino, cioè l'uomo che viene considerato «la Cassazione» dei pentiti, aveva espresso qualche sospetto a carico del sostituto procuratore generale poi morto suicida. Non si sa molto delle dichiarazioni di Buscetta su Signorino, ma sembra accertato che il pentito si sia lasciato andare a qualche perplessità sul magistrato, nel momento in cui decideva di tornare a collaborare con le autorità italiane. Interrogato al suo rientro in Italia, Buscetta avrebbe ammesso che tra i magistrati del palazzo di giustizia di Palermo ritenuti «avvicinabili da Cosa nostra» c'era anche lui, Domenico Signorino. Nessun episodio preciso, almeno per quello che se ne sa, è stato messo nero su bianco. Ma il racconto di Buscetta, giunto dopo le confessioni di altri pentiti, andava a rappresentare una sorta di «conferma ufficiale» a quanto i magistrati avevano già raccolto. Domenico Signorino non se l'aspettava. Era andato a Caltanissetta, davanti ai colleghi di quella Procura incaricati di fare chiarezza, convinto di doversi difendere dall'accusa di aver comprato una casa a «condizioni agevolate» e invece si è ritrovato al centro di una ridda di sospetti pesantissimi e infamanti. Ne era rimasto turbato. Molto più di quanto desse a vedere. Ad accrescere la sua apprensione, stando a quanto si dice, un episodio avvenuto il giorno prima del suicidio. Al centro del piccolo mistero, un lettera anonima. Una busta gialla giunta a casa del giudice, lo stesso appartamento che gli era costata l'accusa di contiguità con la mafia. Una grafia che gli investigatori definiscono «infantile» lancia al giudice una serie di avvertimenti. Quattro fogli fitti su argomenti «che la interessano anche personalmente». E' un particolare importante? Forse, anche se non tutti la pensano allo stesso modo. Sembra, infatti, che non fosse la prima volta che l'ennesimo corvo palermitano si fosse affrettato a «spiegare» i rigurgiti sotterranei che agitano il sottosuolo di Palermo. Ha preso importanza, quella lettera, perché consegnata dal giudice al suo caposcorta pochi minuti prima del suicidio. La coincidenza ha fatto disperare l'agente. «Forse - ha detto piangendo e sbattendosi la testa contro il muro - potevo salvargli la vita. Magari l'avessi letta subito, quella lettera». Di messaggi analoghi il sostituto procuratore ne aveva ricevuti altri e tutti erano stati regolarmente cestinati. La novità, per lui, era un'altra. E cioè che l'indagine sul suo conto andava avanti da mesi e non riguardava soltanto l'episodio dell'acquisto di quel «maledetto appartamento». Anche se, stando alle rivelazioni del pentito Gaspare Mutolo, sarebbe cominciata da lì la frequentazione. Era il 1982, nella borgata di Pallavicino i palazzi venivano su come funghi. lì pentito descrive il magistrato interessato ad un appartamento, attico e superattico (quinto e sesto piano) in via Mater Dolorosa, una strada che finisce in uno slargo chiamato piazza Bellissima. Ci vogliono tanti soldi per acquistare, il giudice insiste il pentito - non li ha tutti. A quel punto scatta la trappola, abbastanza solita a Palermo. «Dottore, che problemi ci sono. Quando li avrà ce li darà». L'uso del plurale, a quanto sembra, na¬ scondeva la presenza di altri, diversi dal costruttore Misia. Chi? Il pentito Mutolo non ha dubbi: «Il mio boss, Rosario Riccobono». Il quale, in seguito, non avrebbe mai fatto mistero di quel «favore» concesso al giudice Domenico Signorino. E' vero tutto ciò? Il magistrato si apprestava a difendersi, giocando le sue carte. Anche nei confronti del Consiglio superiore della magistratura, che lo aveva convocato , dopo che la vicenda era finita sui giornali, per il giorno 10 dicembre. Adesso difficilmente si saprà se i pentiti hanno detto cose attendibili. Almeno per quel che riguarda Signorino. L'inchiesta si è automaticamente chiusa con la morte dell'indagato. Rimane un altro grosso punto interrogativo. I pentiti hanno parlato anche di altri magistrati, esprimendo le stesse riserve sulla loro fedeltà. La magistratura di Caltanissetta non ha ancora preso alcun prowedimento. Non si sa neppure se esiste una indagine allargata ad altri giudici del palazzo di giustizia di Palermo. E intanto circolano nomi più o meno conosciuti. Cresce _la preoccupazione perla possibilità di un gioco al massacro senza fine. Alcuni giudici hanno già preso contatti con avvocati, nell'ipotesi che i loro nomi vengano fuori. Si dice che qualcuno potrebbe presentarsi spontaneamente a Caltanissetta. Francesco La Licata I pentiti inguaiano pure altri giudici Qualcuno di loro sarebbe pronto a presentarsi a Caltanissetta II giudice Signorino, sospettato di aver accettato agevolazioni mafiose per l'acquisto di una casa £

Luoghi citati: Caltanissetta, Italia, Palermo