La Nazionale per farsi amare e le grandi città per crescere

La Nazionale per farsi amare e le grandi città per crescere Petrucci vara il piano di rilancio nel primo Consiglio federale La Nazionale per farsi amare e le grandi città per crescere IL FUTURO DEL BASKET LA prima campagna del presidente è stata l'operazione-simpatia: annunci chiari al telefono, mille scuse quando una linea interna è occupata, sorrisi che si avvertono dall'altro capo del telefono. «Costa così poco esser gentili», dice Gianni Petrucci. La seconda operazione riuscita è quella dell'immagine, anche se per il momento a far notizia non è il basket ma proprio lui, il figliol prodigo ritornato dopo le esperienze calcistiche. Ma son ben altre, e lo sa bene, le operazioni che da lui attende la pallacanestro italiana, ancora sotto choc per l'esclusione dai Giochi e costretta ad andar sempre più indietro nel tempo per trovar successi di cui gloriarsi. Lei vuole una Nazionale trainante: non è un'utopia? «No, se si opera su due direttrici: 1. programmare per ottenere buoni risultati; 2. puntare su personaggi conosciuti per fare amare l'azzurro, e anche in tv avere un forte richiamo della programmazione, come a Roma '91. Abbiamo vinto fino a ieri, abbiamo una forte scuola, organizzazione e investimenti, dunque si può riuscire, anche se ora ò più difficile vincere per la concorrenza di tanti nuovi Paesi». Lo dice anche Malgara, ma i club saranno disposti a qualche rinuncia? «Oggi, in Consiglio, programmeremo il futuro, poi le parole dovranno diventare fatti. Conosco i presidenti dei club, gli stessi di quando ero segretario, ma ora sanno che avevamo ragione a puntare sulla Nazionale. L'hanno capito sulla loro pelle, dall'esempio del volley e, in parte, della pallanuoto». Contro il rilancio, i due stranieri e le formule future. Squadre di 12: i giovani giocheranno ancor meno. «So come rilanciare l'immagine, ma sulle questioni tecniche voglio che il Governo Federale senta anche allenatori, giocatori e uomini di esperienza come Porelli e Rubini (anche se Petrucci gestirà la Nazionale in prima persona, è scontato, così come è scontato che non sarà più Gamba il citi dopo il colloquio chiarificatore tra i due, ndr). E far giocare di più i giovani è problema comune a tanti sport: non dipende solo dagli stranieri». Petrucci e Malgara, attesi come Babbo Natale, come De Michelis 8 anni fa. Avrete lo stesso aiuto, cioè zero? «La Lega si rende conto che, se questa non è l'ultima spiaggia, è un momento di grande neces- sita. Noi ci metteremo a disposizione, ma tutti devono collaborare per far grande il basket». Roma, Milano, Napoli e Torino in crisi: il super-basket può ignorare le metropoli? «No. Il basket ha due direttrici: le città tradizionali e le metropoli, e qui dobbiamo lavorare. A Roma ci sono i presupposti per far bene: ho fiducia in Rovati. Milano ha problemi particolari. Napoli e Torino vogliono i risultati. Ma poco tempo fa RomaMilano fece 9000 spettatori». Già, Roma-Milano: la gente vuole il grosso scontro. «Lo so. E' vero che le tradizioni, nel basket, si fanno in fretta, come è vero che la città di media grandezza spesso è coinvolta dalle sorti della squadra di basket più che da quella di calcio, ma saremo un grosso sport nazionale solo quando avremo conquistato le grandi città. Voglio toccarle tutte e mantenerle in alto». Non dice come, ma è evidente che Petrucci guarda al basket con un'ottica-Nba e non esclude la possibilità di trasferire una squadra da una città all'altra, pur di coinvolgere le piazze più importanti. E con la stessa ottica verrà concessa la deroga a Roma per cambiare sponsor durante l'anno. I grandi centri devono però lottare ad alto livello: il basket-spettacolo, se c'è sta¬ to, resta fine a se stesso. «I tifosi e chi investe vogliono vincere, subito. Per ora, intanto, c'è grande equilibrio». In basso. «Lascio giudicare ai tecnici». Nell'83 Italia regina d'Europa. Poi, dove si sbagliò? «Non ci rendemmo conto di non poter vivere di rendita. Ma era un momento storico diverso: oggi è più facile trasformare il successo in uno show, come ha fatto (bene) la pallavolo. Pensiamo al calcio: vive ancora sulle immagini del gol Mundial di Tardelli. E a quell'epoca, così come dopo Mosca '80, si parlò a lungo di Meneghin & C. Però non vennero più i risultati». Spese folli, bilanci in rosso, salary cap: stessi problemi di quando lei se ne andò. «Ma si va avanti. La trasformazione in società di tipo professionistico è stata decisa e si farà. Quanto alle spese folli, l'imprenditore non guarda all'incasso al botteghino, ma al ritorno d'immagine. I club che investono molto lo fanno a ragion veduta. Gli altri, gestiti in modo sane, vivono sempre tranquillamente». Casi Ferruzzi a parte... «Ma c'è la forza di reagire. Pur di non volere tutto subito: siamo lo sport più diffuso, in oltre 200 Paesi, e non è facile vincere». Guido Ercole «Non possiamo fare a meno delle metropoli: dovremo rilanciarle ad alto livello» II presidente neoeletto Petrucci (a fianco) dovrà scegliere l'erede del citi Gamba, col quale ha avuto un colloquio chiarificatore Tra i favoriti, a sinistra dall'alto, Ettore Messina e Bogdan Tanjevic e, sotto, Alberto Bucci