MANFREDI di Simonetta Robiony

MANFREDI Incontro-confessione con l'attore che torna in teatro con la sua commedia «Parole d'amore... parole» MANFREDI Dovevo morire giovane eppure sono ancora ROMA. E' contento Nino Manfredi, contento come ormai non lo si vedeva più. Davanti a una confusione di sedie grezze e poltrone panterate, quadri che sparano acrilico e cornici che strizzano l'occhio ad Arcimboldo, abat-jour romantici e tappetoni insensati, Manfredi sorride beato. Tra una settimana, esattamente il 12 dicembre, sul palcoscenico del teatro Nuovo di Ferrara, tutta quella confusione cederà il posto all'ordinata messa in scena della sua ultima commedia con musica, «Parole d'amore... parole», una cosa scritta con un ragazzo argentino, Nestor Saied, che tempo fa s'è assunto il compito di costringerlo a buttar giù quell'idea di spettacolo che si portava" dentro. Adesso Manfredi è contento di esser arrivato al debutto. Tanto contento che, mentre sulla scena l'attrice protagonista Fioretta Mari, il figlio di Dorelli e della Masiero, Gianluca Guidi, una ragazza scovata in un minuscolo cabaret, Rita Charbonier, e il solito Nestor Saied che funge da sua controfigura, intonano la canzone che fa da filo conduttore a questa storia di coppie incrociate, Manfredi canticchia anche lui, battendo il tempo. «Lo sento sul cuscinooo, hanno tutte il tuo profumooo, la più bella parola del mondo è ti amoooo». E parla, Manfredi. Parla tanto, aprendo parentesi e parentesi dentro uno stesso discorso, per legare tutto insieme: il suo ritorno al teatro dopo due grossi successi popolari che avrebbero spaventato chiunque, la tubercolosi che lo colpì da ragazzo avvicinandolo alla recitazione, la corruzione che dilaga nel mondo occidentale mentre la gente non ne può più di parole come razzismo, concussione, tangenti, speculazione, aggressioni e avrebbe bisogno solo di parole d'amore. Parla per l'interlocutore, ma soprattutto parla a sua moglie Erminia che di questa commedia ha curato scene e costumi, la quale s'agita avanti e indietro a sistemare cose, gli porta la medicina con l'acqua fresca, gli raziona le sigarette perché non perda l'aria che ha nei polmoni, lo irride perché dopo trentotto anni di vita in comune lui la considera sua madre, lo sgrida sfottendolo di aver scritto per lei una commedia intitolata «Parole» quando le donne di parole ne hanno avute abbastanza e adesso chiedono fatti. E' un monologo sulla vita, questo di Manfredi, senza capo né còda, recitato a braccia, mentre la troupe, tra una prova e l'altra, tace e osserva. Il battimani non arriva ma avrebbe potuto esserci. «Guardatela, Erminia. Ha sessantanni ed è ancora una ragazzina. C'ha mal di schiena, mal di gambe, male al collo, è piena di dolori, se non fa i massaggi non si regge in piedi, ma è piena d'energia. Lei dice che è stata costretta a mantenersi com'era quando faceva l'indossatrice da Capucci perché a me mi piacciono giovani. Non è vero. E' la razza siciliana che è una gran razza: fa donne tenaci, capaci di resistere a qualunque tragedia. L'albergo a Taormina lo volli costruire per lei. Pensavo: l'attore non dura. Tra dieci anni chi mi vuole più? Erminia aveva un pezzo di terra a Taormina, volli farmi fare un albergo per assicurarmi la vecchiaia. M'aiutarono i Costanzo, quelli che adesso stanno in prigione. Qualcuno aveva sparato al mio guardiano per dissuader¬ mi ma io, da ciociaro, m'ero presentato in Comune e avevo giurato che non avrei mollato. Il giorno dopo arrivò Costanzo e s'offrì di costniirmelo lui. E da allora non ho mai avuto grane, anche se poi, l'albergo non l'ho mai gestito perché il pubblico, bontà sua, mi vuole ancora. E' che anche a uno onesto può capitare, senza saperlo, di imbattersi in un imbroglione. 'Sta commedia la doveva produrre un argentino, perché a Buenos Aires dopo "Il Rugantino" mi stanno ancora ad aspettare. Invece il produttore è finito in galera per truffa e l'ho fatta solo con il Carcano di Milano. E forse è meglio così. Mi viene da ridere perché a me le cose non sono mai andate diritte subito. Sono sempre partito storto, io. L'attore lo faccio perché da ragazzo ho avuto la tubercolosi e quando so' uscito dal Forlanini il dottore m'aveva dato quattro, massimo cinque anni di vita. Se non fossi stato destinato a morire giovane chi lo convinceva mio padre a mandarmi all'Accademia? Che poi per avere il permesso di imparare a recitare mi so' pure dovuto laureare. Ma a me di fare l'avvocato non me fregava niente. Il certificato di laurea me l'hanno consegnato a "Serata d'onore", in televisione. E mi sono commosso. M'è venuto in mente mio padre che avrebbe voluto vederlo 'sto benedetto pezzo di carta addirittura il giorno della discussione della tesi, e io che, invece di ringraziarlo perché s'era sacrificato a pagarmi gli studi, risposi: "Mi ci pulisco il sedere, con la tua laurea". Che poi la tesi non l'ho mai discussa. Recitai un Arlecchino di Goldoni e li feci ridere tanto che mi beccai un 92 da Agostino D'Avak, con tutto che c'era il professor Papi in commissione che al suo esame m'aveva bocciato due volte. Ero bravino. Tanto bravino che Vittorio Gassman, un genio, un genio fin da ragazzo, mi volle nella sua prima compagnia insieme a Buazzelli. Così Buazzelli che già dormiva a Roma a casa mia, continuò a dividere con me la stanza per tre anni. Pure con mia moglie è stato lo stesso. L'ho corteggiata per un anno e mezzo. E per un anno e mezzo m'ha detto di no. Lei dice che era solo un mese e mezzo e a me m'è parso tanto lungo perché m'ha fatto penare. Ma a me mi pare che si sbaglia. L'ho conosciuta a uno spettacolo di Walter Chiari dove sfilava come indossatrice: era amica di Marina Bonfigli che stava allora con Paolo Ferrari. M'era piaciuta subito ma non c'era stato niente da fare. La ritrovai a Milano in un Natale dove eravamo soli tutti e due. Accettò di venire a cena con me in un locale vicino al teatro Manzoni. Io avevo in tasca 40 mila lire solo. Avvertii i camerieri che se lei avesse chiesto champagne avrebbero fatto bene a non portarlo con una scusa perché non potevo pagare. In cambio del favore promisi qualche biglietto per il mio spettacolo. Stavolta mi dichiarai. Rifiutò. Fu un dolore enorme: aveva degli occhi straordinari Erminia. Allora mi sono messo a scrivere tutti i giorni su dei quadernetti quello che di lei non mi piaceva per levarmela dal cuore. Ma serviva a poco. Fu a Napoli, in un taxi, che Erminia mi disse all'improvviso: "Ho sentito molto la tua mancanza". Glielo feci ripetere due volte perché non mi pareva vero. Era un taxi che noi due avevamo dovuto prendere in fretta perché Paolo Ferrari m'aveva fregato la Millecento che m'ero comprato lavorando nel doppiaggio e che mi faceva sentire ricco. Molto tempo dopo ho anche scoperto che Erminia s'era conservata con cura una giraffa che le avevo regalato come simbolo di quanto mi s'era allungato il collo una mattina che l'avevo aspettata inutilmente». Simonetta Robiony / ricordi e la moglie il lavoro egli amici La compagnia che debutta con Nino Manfredi il prossimo 12 dicembre al Teatro Nuovo di Ferrara. testo è scritto dall'attore e dall'argentino Nestor Saied