John, ti amo ti ho ucciso

John, ti amo ti ho ucciso il caso. L'assassino di Lennon rompe il silenzio dopo 12 anni: «Ecco la mia verità» John, ti amo ti ho ucciso L' UOMO che la sera dell'8 dicembre 1980 uccise John Lennon sparandogli cinque colpi di pistola alla schiena, riceve ogni anno migliaia di lettere a cui non risponde mai. Marc David Chapman le legge tutte con attenzione, e poi le ripone negli schedari della sua cella del carcere di massima sicurezza di Attica, dividendole per categorie: «pazzi», «odio/minacce», «richieste di autografo», «adulatori», «sinceri», «semisinceri», «falsi». C'è chi lo insulta, chi lo aggredisce con immagini oscene, chi lo tortura ricordandogli i piaceri del sesso che gli sono negati, chi gli augura la morte. «Ti ricordi di me?», gli chiede il suo più assiduo corrispondente inviandogli sempre le stesse righe anonime dal Michigan. «Il giorno che uscirai sarà l'ultimo giorno della tua vita, bastardo». A dodici anni da quell'assurdo delitto, Marc Chapman è forse «l'uomo più impopolare del mondo», come lo aveva presentato un commissario di polizia alla dottoressa Goldstein, del reparto psichiatrico del Bellevue Hospital di New York, poche ore dopo l'agguato. L'ospedale era in stato d'assedio, fuori i fans dei Beatles pronti al linciaggio, dentro centinaia di poliziotti in assetto di guerra per un uomo solo. «Volevo uccidere qualcuno per fermare la mia mente», dichiarò Chapman alla dottoressa che lo visitava. «Ricordo di avere pensato, se lo uccido non avrò più preoccupazioni». Ma le cose sono andate molto, molto diversamente, se da allora Marc Chapman ha avuto tante preoccupazioni da essere rinchiuso per dodici anni in cella di isolamento, e per la propria incolumità, non quella altrui. Lo racconta il giornalista Jack Jones nel nuovissimo Letme take you down, inside the mind of the man who killed John Lennon (Nella mente dell'uomo che ha ucciso John Lennon,, Villani Books, New York). Un libro che esce proprio mentre centinaia di persone a New York si preparano a ricordare il giorno della morte di John Lennon sfilando silenziose su una collinetta di Central Park ribattezzata Strawberry Fields. Non esiste un cimitero dove raccogliersi, per questa gente che l'anno scorso arrivò dall'India, il Giappone, la Polonia, l'Egitto, l'Inghilterra e da tutti gli Stati Uniti, perché Yoko Ono ha voluto che le ceneri fossero conservate in un luogo segreto. Non esiste nessun altro luogo per cercare ogni anno, l'8 dicembre, quella comunione con il profeta della pace e dell'amore, che Chapman dichiara di aver trovato nel preciso istante dell'assassinio: «Era come un momento zen: una realizzazione, un'estasi totale». L'odio che lo portò a New York da Honolulu nel 1980 con una calibro 38 nella tasca destra e una copia del Giovane Holden di J. D. Salinger nella sinistra, non si può capire nemmeno attraverso il libro di Jones, si può solo tentare di raccontare. Impressioni, testimonianze, il distillato di duecento ore di interviste al condannato a oltre vent'anni di reclusione, ricostruiscono quei giorni in cui un giovane schizofrenico si lascia ossessionare dal romanzo del disincanto giovanile di Salinger, da cui prende l'idea che l'ipocrisia è la causa dei mali del mondo. Un idolo della sua adolescenza come Lennon diventa improvvisamente un ipocrita che predica amore e pace solo per arricchirsi, un «fasullo», come direbbe il giovane Holden Caulfield, che canta la semplicità ma abita all'ultimo piano di una casa che solo a guardarla è il simbolo della corruzione della ricchezza. Si tratta del celebre Dakota, uno di quegli immensi edifici di New York che sono un misto di Decò e di assiro-babilonese: abbastanza inquietante da offrire a Roman Polanski lo sfondo ideale per far concepire il diavolo a Mia Farrow, in Rosemary's Baby. Ma Jery e Jude, due ragazze che hanno fatto amicizia proprio davanti a quella casa, lo considerano l'indirizzo dei loro sogni. Da quattro anni passano lì davanti parecchie ore insieme ogni giorno, aspettando di vedere Lennon entrare o uscire, tanto che ormai persino Yoko Ono le consi- dera «di famiglia». Marc Chapman, grassoccio, infagottato in un cappotto scuro e con un colbacco di finto pelo, si presenta alle ragazze il 6 dicembre ma se ne va poche ore prima che Lennon, scendendo da un taxi, le chiami per commentare con loro Doublé fantasy, il suo nuovo disco dopo cinque anni di silenzio. Jery é Jude sono raggianti, e pensano all'occasione che ha perso quel ragazzo venuto da Honolulu per un autografo. Lo avevano trovato «molto educato». Il 7 dicembre Chapman fa la posta al Dakota inutilmente. L'8, quando Jude e Jery gli presentano il piccolo Sean Lennon che sta ascendo con la bambinaia, Chapman si china a dirgli impacciato: «Sarà meglio che ti curi quel jnajfreddore, se non vuoi rovinarti il Natale». Fa già buio quando finalmente incontra Lennon e gli tende ammutolito la copertina" di Doublé fan- tasy da autografare. La star risponde all'invito di buonumore, mentre un fotografo li. ritrae insieme facendo lampeggiare il flash. Poche ore dopo, Lennon e Yoko Ono tornano a casa in limousine. Sono le 11 di sera e Chapman ricorda, parlando di sé come del «bambino», lo sguardo che tutti e tre si scambiarono: «Nessuno sorrise. Nessuno disse una parola. C'era un silenzio di morte nel mio cervello, e John Lennon mi superò. Camminò veloce raggiungendo il portone. Yoko era un po' più avanti, ma lui era lì, solo. Dava le spalle al bambino, e una voce disse: "Fallo! Fallo! Fallo! Fallo! Fallo!". Mirai alla sua schiena. Premetti il grilletto cinque volte. E l'inferno scoppiò nella mia testa». Scoppiò l'inferno nel suo cervello perché non accadde nulla di quello che aveva previsto. Lennon non cadde subito a terra ma morì dissanguato dopo aver salito alcuni gradini sino al portone di casa. E Chapman non si raggomitolò in posizione fetale davanti a lui, come credeva che avrebbe fatto, per trasmigrare nel mondo letterario del giovane Holden di Salinger. Rimase invece paralizzato dallo stupore, e gettò la pistola. «Ero angosciato. Desideravo solo che arrivasse la polizia. Camminavo avanti' e indietro con il libro in mano. Cercavo di leggere, ma le parole mi nuotavano davanti. Nulla aveva senso». Nemmeno che il primo poliziotto ad arri- vare si chinasse su quell'uomo celeberrimo che giaceva a terra e gli chiedesse: «Lei sa chi è?». Ora questo ex hippy, ex frequentatore di marijuana e Lsd, ex fanatico religioso e aspirante suicida, sposato con una asiatica di cinque anni più vecchia di lui e devotissima (quanti punti in comune con la rockstar), cerca di spiegare che una parte di se stesso è buona e generosa «ma una piccola parte di me è anche molto potente e molto malvagia». E' quella dove abita la Piccola Gente, certi omini immaginari con tanto di governo e ministri contro i quali Marc Chapman sfogava la sua rabbia sin da bambino, quando abitava in un sobborgo piccoloborghese di Atlanta, in Georgia. E' la stessa parte di cervello dove si nascondono i suoi demoni, che in questi anni numerosi esorcisti hanno tentato di stanare, dopo che lui per notti e notti ha invocato il diavolo in preda al terrore, spogliandosi nudo e facendo a pezzi tutto ciò che aveva intorno. Aveva reagito così alla notizia che l'avrebbero rinchiuso nel carcere di Attica, nello Stato di New York, dove nel '71 quarantatre uomini erano morti nella più violenta rivolta carceraria della storia degli Stati Uniti, che Lennon volle commemorare appena arrivato in America con un concerto di beneficenza, mandando l'incasso ai superstiti e alle famiglie delle vittime. Un brutto posto per Marc David Chapman: ecco perché la cella d'isolamento. Privato del conforto psicotico di credersi up personaggio letterario, Marc Chapman la notte va a cercare un po' di pace in un sogno ricorrente, in cui immagina di svegliarsi nella sua casa di Honolulu, e di andare a toccare la copertina di Doublé fantasy che è appesa al muro. Con le dita sfiora la scritta a penna, «John Lennon, dicembre 1980», e poi torna a sdraiarsi accanto al corpo caldo di sua moglie. «Grazie a Dio sei ancóra vivo», sussurra. «Dacci ancora della musica meravigliosa». Livia Matterà Un libro sull'uomo «più impopolare del mondo» Sopra, Marc David Chapman, l'assassino. «Era come un momento zen ■ ricorda -: una realizzazione, un'estasi totale» Una ragazza alla collina di Central Park - ribattezzata Strawberry Fields - dove già cominciano a raccogliersi i fans di John Lennon, per ricordare l'omicidio avvenuto F8 dicembre 1980