Commedia di ebrei e di ragazzi di Masolino D'amico
Commedia di ebrei e di ragazzi A Milano il lavoro di Gilberto Tofano, con gli allievi della scuola del Piccolo Commedia di ebrei e di ragazzi Bella produzione, perfetta dal punto di vista storico, anzi archeologico Molte parentele con la commedia dell'arte: quello che manca è la risata MILANO DAL NOSTRO INVIATO Sotto il titolo di «Commedia degli Ebrei alla corte dei Gonzaga» l'adattatore e regista Gilberto Tofano ha ingegnosamente combinato un testo rinascimentale, «Le tre sorelle» del drammaturgo Leone de' Sommi Portaleone, attivo a Mantova e morto nel 1592, con brani teorici del medesimo, ricavati da «Quattro dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche», in cui si anticipano concetti moderni sulla recitazione e sulla regia. Inoltre ha attinto a documenti d'epoca per suggerire anche il contesto in cui operò l'interessante personaggio, ebreo che grazie alla sua maestria di allestitore di spettacoli ottenne rispetto e privilegi inconsueti per un membro della sua «nazione». Assistiamo insomma a una prova del surricordato lavoro del nostro, proposta a inviati del Duca, che vuole ascoltarlo a palazzo; e questa prova è diretta dall'autore, il quale ogni tanto interviene spiegando i suoi principi. Un'altra cospicua interruzione è provocata dalla visita ai teatranti della celeberrima Isabella dei comici Gelosi, la massima star dell'epoca, e anche in questa occasione vengono enunciate massime sull'arte istrionica e sulla funzione del teatro come rappresentazione del mondo. L'ebraicità di Leone e della sua troupe è ricordata all'inizio, coi partecipanti alle prove che si presentano vestiti di nero e spiegano come le date proposte per la loro esibizione a palazzo coincidano con loro festività religiose: è ripresa sporadicamente nei commenti, e torna alla fine con una madre che istericamente accusa gli ebrei di averle rapito il rampollo. Il risultato di tanta carne al fuoco è egregio dal punto di vista del mestiere, non soltanto infatti la regia ha mescolato i vari temi con grazia ed efficacia - scena semplice e garbata di Emanuele Luzzati, pacati costumi di Frida Klopholz, musiche rinascimentali di Aldo Tarabella - ma gli interpreti, in gran parte allievi di una scuola che finanziata o no dalla Cee, evidentemente esiste, sono tutti all'altezza della situazione, tanto nel quotidiano, dove li guida l'eccellente Franco Di Francescantonio come l'autore-regista, quanto nei lazzi. Sono più di venti e non posso nominarli tutti, ricorderò soltanto gli spassosi rodomonti Paolo Calabresi ed Enrico Maggi. Spettacolo perfetto, dunque? Da un punto di vista storico, archeologico, forse sì. Ma sul piano del divertimento, molto meno. La prima riserva riguarda l'infelice Teatro Studio (dove si replicherà fino a gennaio), notoriamente rotondo, con gli spettatori castigati lungo le pareti sulle infernali panche dell'architetto Zanuso. Qui lo spazio centrale della sala rimane quasi sempre vuoto mentre tutta la recita ha luogo su di un palcoscenico in fondo, per di più fiocamente iUuminato durante una fase cruciale della seconda parte; ed è difficile essere coinvolti da vicende buffe spiate oltre un grande spazio aperto. Seconda e più grave riserva, il testo. Composta di ben tre trame intrecciate sugli espedienti per sposare o comunque possedere le tre sorelle del titolo (uno si rifà sfacciatamente alla «Mandragola»), con situazioni canoniche di vecchi babbei, servi truffaldini, spacconi e vigliacchi, questa commedia non ha nulla di ebraico, ma è un tipico tardo lavoro rinascimentale. E delle commedie rinascimentali Silvio d'Amico diceva ai suoi studenti che sono come i giapponesi, per distinguere il bello dal brutto ci vuole l'inten¬ ditore; ma a noi profani sembrano tutte uguali. Di questa poi la regia ha scelto di non sottolineare tanto il dettato, un italiano abbastanza saporito, quanto le parentele con la commedia dell'arte, e quindi giù con falsetti e cantilene, capriole e bastonate, fino alla monotonia. Così senza dubbio ci si sbellicava quattro secoli fa, ma oggi si resta freddimi, specie se il trattamento dura tre ore e passa. Il pub¬ blico è apparso debitamente impressionato dallo sforzo, ma refrattario alla risata: concordando col critico, il quale ha invidiato, confessa, l'onorevole La Malfa, che avendo compiuto il bel gesto di presenziare manifestando così solidarietà al Direttore sotto accusa, ha approfittato dell'intervallo per squagliarsela. Masolino d'Amico
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