«Giudici, ridatemi il mio bambino perduto» di Franco Pantarelli
«Giudici, ridatemi il mio bambino perduto» USA La Corte Suprema: può tenerlo d'estate e a Natale, ma deve dividerlo con la sua nuova famiglia «Giudici, ridatemi il mio bambino perduto» Appello di una madre, per uno scambio di culle è stato adottato NEW YORK NOSTRO SERVIZIO Un bambino conteso, una madre che non si arrende, un giudice in imbarazzo nella parte di Salomone, una Corte Suprema che non sa che pesci pigliare: questa storia intricatissima, in cui sembrano avere ragioni tutti i protagonisti, è nata nove anni fa con uno scambio di culle in una clinica ed è esplosa quattro anni fa, quando lo scambio è stato scoperto. Ne hanno parlato i giornali, ne ha discusso la «gente comune» in uno dei più popolari «talk show», e l'altro ieri la Corte Suprema ha deciso di uscire dall'impiccio con una sentenza che fa a cazzotti con la logica: ha negato alla madre naturale il diritto di tenere con sé il proprio bambino. Lei, Jodie Denise Paul, ha detto che continuerà la sua battaglia. L'inizio della storia, si diceva, risale a nove anni fa. In una clinica di Griffin, in Georgia, nasco¬ no due bambini. Uno è partorito da Jodie, che ha un «normale» marito di nome Walter Pope; l'altro è dato alla luce da una ragazza sconosciuta che annuncia di volerlo dare in adozione. Al momento in cui le due donne lasciano la clinica contemporaneamente, pochi giorni dopo, i bambini vengono scambiati. Jodie e Walter si portano a casa il bimbo della sconosciuta, cui hanno dato il nome di Cameron, mentre il loro figlio entra nella lista degli orfani in cerca di genitori adottivi. Un anno dopo li trova in Edith e Eugene Moore di Radcliff, in Kentucky, e viene chiamato Melvin. Cameron risulta mezzo indiano, ma sul momento nessuno ci fa caso perché nella famiglia di Jodie ci sono delle «presenze» indie. Tuttavia, quando quattro anni dopo Jodie e Walter cominciano ad avere problemi e la loro disputa per il divorzio si fa «cattiva», lui sostiene che Cameron non è figlio suo. Il tribunale decide l'esame del sangue e si scopre che non solo Cameron non è figlio di Walter, ma non lo è neppure di Jodie. Lunga ricerca e alla fine si arriva a rintracciare il vero figlio di Jodie e Walter. I Moore, fino a quel momento, lo hanno cresciuto come un figlio loro, ma Jodie si rivolge al tribunale per ottenere che il bambino si ricongiunga alla madre vera, mentre parallelamente svolge la pratica di misconoscimento di Cameron e «contestuale» adozione. Il giudice Frank Eldridge di Atlanta, che deve decidere sul destino di Melvin, è in serio imbarazzo. Ambedue le parti, dice, sono «ugualmente qualificate» alla custodia del piccolo: Jodie perché è sua madre, i coniugi Moore perché lo hanno regolarmente adottato e hanno investito in lui «in termini pratici, sentimentali e finanziari». La sua sentenza è che Melvin debba restare con i Moore, ma Jodie ha il dirit¬ to di tenerlo con sé per due mesi durante l'estate e a Natale. Lei sul momento accetta, ma nel Natale scorso, dopo che Melvin è stato con lei, con Cameron e con il suo nuovo marito, William Paul, per i giorni previsti dalla sentenza, lei si rifiuta di rimandare il bambino dai Moore. Nel frattempo, è successo che i loro vicini hanno preso a telefonare a Jodie per avvertirla che presso i Moore il piccolo è maltrattato. Loro negano e denunciano Jodie per mancato rispetto della sentenza. Il processo arriva alla Corte Suprema, la quale l'altro ieri si è appunto prodotta nella sentenza che nega a Jodie la custodia di Melvin e le ingiunge di riconsegnarlo ai Moore. Neanche a questa ingiunzione lei intende obbedire. «Melvin vuole stare con me, ormai mi chiama mamma, la mia battaglia non è certo finita». Franco Pantarelli
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