«Così fustigo il vostro Belpaese» di Giuseppe Zaccaria

«Così fustigo il vostro Belpaese» La corrispondente dell'Economist Tana de Zulueta è molto severa con le colpe dell'Italia «Così fustigo il vostro Belpaese» «Perché tanto scandalo? Dico soltanto la verità» GIORNALISTA TESTIMONE IMPIETOSA Ln ROMA W- ALTRO pomeriggio, quando la visita dei corrispondenti esteri al Quirinale stava per avere inizio, il capo dell'ufficio stampa Tanino Sceiba, con sorriso da lupo le ha sussurrato: «Cattiva». Non molto tempo prima, ad un convegno internazionale Gianni De Michelis l'aveva affrontata dinanzi al buffet per gridarle: «Tu non sai che danni ci state provocando». Quello «state» esprimeva un'associazione automatica (e come vedremo fra poco, non del tutto giustificata) fra la più odiata fra le giornaliste inglesi che incrociano dalle nostre parti e il più autorevole e impietoso settimanale economico d'Europa. Cioè fra Tana de Zulueta, 41 anni, padre spagnolo, due figli, corrispondente da Roma dell'Economist, e il giornale che a forza di fustigare i costumi italiani da noi è arrivato a vendere 8 mila copie, con un «trend» in crescita del venti per cento l'anno. Sarà che, almeno in termini editoriali, la cattiveria paga? «Io non credo», risponde. «Legga l'ultimo editoriale del mio giornale, quello che hanno intitolato «La caduta dell'impero romano: tanto prima tanto meglio». Le sembra che sia esagerato?». A leggere con attenzione, si direbbe di no. Tana de Zulueta cita Amato quando dice che la cosa che più preoccupa l'Italia di oggi non è tanto l'economia quanto il quadro politico. Aggiunge che i cittadini stessi sono «nauseati dai partiti di governo». Analisi impietosa, se vogliamo: ma vogliamo sostenere che in questo caso ì'Economist ha torto? «Mi rendo conto che certi titoli possono colpire. Che certe vignette, come quella che raffigura l'Italia come un vecchio stivale dalla suola bucata, possano urtare le sensibilità. Ma per dirgliela tutta, anziché protagonista di un attacco comincio a sentirmene vittima. Ma com'è che, in Italia, appena uno racconta in lingua diversa quello che tutti sanno, pare che si attenti all'integrità della nazione?». E' vero. Qualche settimana fa a un corrispondente inglese è accaduto di chiedere lumi a colleghi italiani circa la lottizzazione, e di trascrivere tranquillamente storie fornite da persone di cui si fidava. Apriti cielo: poche ore, e gli stessi giornali da cui le informazioni erano partite gridavano allo scandalo per l'ennesimo caso di «antitalianità». Ora, fra quello che Tana de Zulueta scrive e il modo in cui parla ci sarà forse qualche contrasto, il linguaggio scritto apparirà secco e tranciante esattamente come l'argomentare si propone invece ironico e sommesso. «Sarà perché sono timida», spiega lei. La questione però non è tanto di capire fino a che punto The Economist abbia ragiono. Il problema è un altro: com'è in pochi mesi l'immagine dell'Italia sia cambiata radicalmente? «Sono state le condizioni, a cambiare. Pensi agli Anni Ottanta, ad mi'Inghilterra colta di sorpresa dal famoso "sorpasso" italiano. A gente che voleva conoscere, capire questa nuova realtà. Ai famosi "condottieri" della vostra industria...». Ha ragione, signora. Eppure in pochi mesi è accaduto che un'immagine in apparenza indistruttibile sia cambiata. Che dal «guarda che strano Paese, eppure ce la fa», si sia passati al «guarda che Paese serio: sta crollando». «E' la politica italiana, ad essere cambiata. Vede, io sono qui dal '77, prima per il Sunday Times poi per YEconomist...». Da dove veniva? «Da una laurea a Cambridge - in antropologia: mi è stata utilissima per un'inchiesta sulle correnti de - e dall'incontro con la persona che poi sarebbe diventata mio marito». Ed ha avuto subito un'impressione così terribile? «Ammetto che il primo impatto non fu dei più felici. Esordii con un'inchiesta sullo scandalo dei petroli, quello provocato dai pretori di Genova. E ricavai subito l'impressione di un Paese in cui le imprese, proporzionalmente alle quote dimercato, di¬ stribuivano "mazzette" proporzionali ai voti dei partiti». L'ha scritto pochi mesi fa. Economist del 21 giugno: «Il grado di corruzione raggiunto in Italia è superiore a quello della maggior parte delle democrazie moderne...». «Esatto. E riconoscerà che in quel momento, i giornali italiani non avevano ancora preso completamente atto di quella realtà». D'accordo. Ma non sarà che, a causa di quel vecchio scandalo, dell'Italia lei aveva colto solo il segmento peggiore? «Non direi. Piuttosto, ho avuto modo di capire che questo Paese cresceva anche grazie a una pra tica generalizzata, in base alla quale i rapporti col governo si regolavano a colpi di valigette». Valigette piene di danaro... «Lei cosa dice?». Dico che tutto questo acca deva anche dieci anni fa. E torno a chiederle: come mai, all'epoca, nel resto d'Europa si favoleggiava ancora di un secondo «miraco lo italiano», mentre adesso si profetizzano soltanto sciagure? «In quel momento c'era un governo Craxi che sembrava voler rompere certi schemi. C'era sta ta la disdetta della scala mobile, un evento storico. L'economia era in crescita. I grandi processi alla mafia sembravano segnare una vittoria epocale...». E poi? «Poi i "condottieri" hanno co minciato a subire anche grandi sconfitte. Poi c'è stato l'ultimo governo Andreotti, le cose hanno cominciato a disfarsi. Negli ultimi mesi, infine, gli assassinii di magistrati e poliziotti hanno dimostrato come la mafia sia tutt'altro che in ritirata». L'impressione è che per Andreotti lei non nutra molta simpatia. «Non direi. Alla prima intervista, gli chiesi se davvero i petrolieri gli avessero versato una tangente, e credo non abbia molto apprezzato». E poi l'ha rivisto? «Qualche tempo fa, al premio Capri». Un premio di giornalismo? «Sì. Lui era premiato per uno dei suoi libri, il suo capo ufficio stampa per la lunga attività al servizio dell'informazione». Elei? «Non so. Credo per i servizi sub" Economist...». Su, confessi: come ha fatto a diventare così invisa all'è stablishement italiano? «Io ho fatto molto poco. Credo sia dipeso tutto da Francesco Cossiga. Dal modo in cui, un anno e mezzo fa, lui interpretò un mio articolo». Quello della famosa «lepre marzolina»? «Sì, quello». Ma scusi: come voleva che un presidente della Repubblica prendesse un servizio che lo dipingeva bizzarro come il personaggio di "Alice nel paese delle meraviglie"?. «Anche in quel caso ci fu qualche fraintendimento. Io non avrei mai pensato di dare del pazzo a Cossiga, ma II manifesto interpretò l'articolo in questi termini, altri giornali lo riferirono al Presidente, e così...». Ricordo che un anno e mezzo fa lei indicava in Segni ed Orlando gli uomini nuovi della politica italiana. Aveva ragione. Ma non esistono previsioni che ritiene invece di aver sbagliato? «Sì, per esempio, quella che indicava nella Lega Nord il vero contradittore politico del governo Amato. Oggi penso che sarebbe più agevole un confronto con il pds». Insomma, signora: lei pensa davvero che questo Paese, come sovente lascia intendere The Economist, non abbia futuro? «Vivo qui da quindici anni. Penso che se il mondo fa paura, l'Italia in fondo ne fa un po' meno». Giuseppe Zaccaria «Con l'ultimo governo Andreotti è cominciata la frana. Ma in fondo qui non si vive così male» Tana de Zulueta, 41 anni, di origine spagnola, con i suoi reportages «cattivi» ha fatto aumentare in Italia le vendite deH'«Economist»