L'Italia ridisegnata di Alberto Papuzzi

L'Italia ridisegnata Progetto della Fondazione Agnelli per una reale autonomia finanziaria L'Italia ridisegnata Se di colpo sparissero 8 regioni TORINO. Dodici regioni invece di venti. Dovranno sparire Liguria, Trentino, Friuli, Marche, Umbria, Abruzzi, Molise, Basilicata. Ogni nuova regione dovrà avere una reale autonomia finanziaria. Si tratta di un progetto messo a punto dalla Fondazione Agnelli. Sarà presentato in un convegno in programma oggi e domani - «Nuovo Mezzogiorno e riforma dello Stato» - e sarà inviato alla commissione Bicamerale. La partecipazione ai lavori di Mattarella, de, Guerzoni, pds, Labriola, psi, e Miglio (Lega) dimostra l'interesse del mondo politico per l'iniziativa torinese. «Siamo a un bivio: o si fa una vera riforma o ci si perde in manovre gattopardesche», dice Marcello Pacini, direttore della Fondazione Agnelli. «E per fare la riforma è necessaria una nuova geografia economica». Vediamo che cosa significa concretamente. Il cavallo di battaglia della Lega di Bossi è - come si sa - l'idea che il Sud si mangia i soldi guadagnati dal Nord. La Fondazione Agnelli è andata a vedere come stanno veramente le cose, facendo un confronto fra quanto una regione versa in imposte e quanto riceve di spesa pubblica. La differenza si chiama residuo fiscale. Lombardi, piemontesi, emiliani e veneti hanno un residuo fiscale in attivo, vale a dire che pagano più di quanto non ricevano. In tutte le altre regioni il residuo fiscale è passivo: la spesa pubblica supera le entrate. Dunque, a beneficiare del reddito che si produce nelle regioni ricche non sono soltanto i meridionali ma anche i liguri o i friulani. Ecco qualche esempio, sui conti dello Stato del 1989. I lombardi versano in più, prò capite, lire 2.385.000, gli emiliani 1.180.000, i piemontesi 1.100.000, i veneti 826.000. Come è distribuita questa ricchezza? Un valdostano si prende qualcosa come lire 8.317.000, ai molisani e ai lucani vanno sui sette milioni a testa, quasi sei milioni ai calabresi, quattro milioni e mezzo ai sardi, ma anche ai trentini, l'avreste detto? Osserva Pacini: «Si è perso ogni criterio di equità». Il Mezzogiorno è il caso storico e macroscopico, «ma la cultura della dipendenza si è diffusa anche al Centro e al Nord». L'iniquità documentata nelle cifre «è il frutto di un regime allo sbando». Che cosa bisogna fare allora? «Restituire alle regioni autosufficienza finanziaria». Detto alla buona: «Tutti imparino a cavarsela da soli». Calabresi e valdostani, campani e trentini e via dicendo. La Fondazione Agnelli - che ha redatto il progetto sulla base delle sue recenti ricerche sia sul Sud sia sulla Padania - prevede che si attribuiscano alle Regioni nuove funzioni, lasciando pochi poteri centrali (moneta, giustizia, politica internazionale, forze armate), e soprattutto si modifichino i meccanismi fiscali, in modo che quanto i cittadini versano venga effettivamente restituito attraverso la spesa pubblica. Quindi: autonomo potere impositivo regionale e ritorno di quote dei tributi erariali. Ma ciò non basta. Con le regioni attuali, le cose peggiorerebbero invece di migliorare: i dati mostrano che quanto più crescono le dimensioni demografiche di una regione tanto è maggiore la possibilità di raggiungere l'autonomia finanziaria. «Sotto una certa soglia non ce la si può fare - dice Pacini -. Non si possono realizzare economie di scala». La presenza di territori di piccole dimensioni «è un ostacolo alla riforma». Bisogna riaccorpare. «Invece sento dire, come è capitato alla Bicamerale, che bisogna dividere ancora di più, per esempio l'Emilia dalla Romagna, o il Friuli dalla Venezia Giulia, mi vengono i brividi: è la prova di una cultura che non tiene in conto i problemi economici». Ecco perché la Fondazione Agnelli propone una nuova Italia delle regioni. Massimo dodici. «Potrebbero essere anche di meno», dice il direttore. Vediamo un po'. Piemonte, Valle d'Aosta e Liguria formerebbero una regione unica. La Lombardia resta ai «lumbard». Si rifanno le Tre Venezie. L'Emilia-Romagna rimane com'è. Marche, Abruzzi e Molise diventano una regione adriatica. L'Umbria si spezza: Perugia si aggrega alla Toscana, Terni si unisce al Lazio. Direirmo addio anche alla Basilicata: Potenza con Ja Campania, Matera con la Puglia. Si¬ cilia e Sardegna restano a sé. Quanto alla Calabria, «è un problema scoperto». Nove regioni su dodici avrebbero l'autonomia finanziaria, secondo il progetto. Due, Sicilia e Sardegna, sarebbero in grado di conquistarla. Per la Calabria si deve inventare qualcosa («anche rilanciando il ponte sullo Stretto per creare una conurbazione fra Reggio e Messina»). Da notare che si prevede un decongestionamento di Roma, decentrando in diverse grandi città una parte delle sue funzioni di capitale. Tempi? «Deve essere una vera rivoluzione - risponde Pacini - pacifica, non traumatica, che salvaguardi i Bot, tanto per capirci. Però una rivoluzione, se vogliamo avere territori in grado di promuovere uno sviluppo: sono convinto che la si debba realizzare in due anni». Alberto Papuzzi Il senatore della Lega Nord Gianfranco Miglio (accanto) e l'on. de Sergio Mattarella direttore del Popolo (in alto) tra i politici invitati al convegno sulla ricerca, oggi e domani a Torino