Litigato ucciso dal patto tra boss e politici di Cesare Martinetti

Litigato ucciso dal patto tra boss e politici Reggio Calabria, 11 arresti a tre anni dal delitto. I mandanti sono quattro amministratori Litigato ucciso dal patto tra boss e politici Condannato a morte per gli appalti d'oro REGGIO CALABRIA DAL NOSTRO INVIATO I nomi di quattro politici, cinque mafiosi e di due killer per la prima volta sono scritti sullo stesso ordine di cattura, accusati di essere responsabili non di una delle tante connections di malaffare, ma di un omicidio eccellente, quello del democristiano Lodovico Ligato, ex parlamentare, ex presidente delle Ferrovie, ex uomo di rispetto. Per la prima volta i politici sono formalmente imputati per aver deciso assieme alla mafia di assassinare uno di loro. La novità è importante e clamorosa persino per la pigra indifferenza di Reggio Calabria, dove i colpi di pistola dei mafiosi e le arroganze dei politici da anni vanno apertamente a braccetto. E qui tra dieci giorni si deve eleggere il Consiglio comunale sciolto per corruzione. I politici accusati di essere i mandanti dell'omicidio sono quattro, tutti di primo piano. Tre democristiani: Piero Battaglia, 62 anni, sindaco di Reggio nei giorni della rivolta, poi parlamentare e ancora sindaco proprio nei giorni immediatamente successivi all'omicidio Ligato; Francesco Quattrone, 51 anni, anch'egli deputato, sottosegretario al Lavoro, presidente della Camera di Commercio di Reggio fino a qualche mese fa, quando venne arrestato nell'inchiesta «mani pulite»; Giuseppe Nicolò, 68 anni, consigliere comunale, poi assessore regionale, uomo di fiducia di Riccardo Misasi leader de di Calabria. Un socialista, più volte inquisito e chiacchieratissimo, Giovanni Pai a mara, 54 anni, assessore regionale in più governi. Li accusano due pentiti, «Alfa» e «Delta», come li hanno ribattezzati la Dia e Bruno Giordano, il pm che da tre anni è incaricato della difficile inchiesta. E' un modo per nascondere le loro identità, ma probabilmente anche per far sapere che ce ne sono altri due, dal momento che nell'alfabeto greco tra alfa e delta, ci sono anche «beta» e «gamma». I due sono di alto livello e hanno fornito al magistrato un racconto dettagliato del vertice di comando del malaffare politico-mafioso calabrese. Dettagli che il magistrato ha dichiarato essere stati tutti quanti riscontrati, anche nel corso dell'inchiesta «mani pulite» che qui a Reggio ha avuto come pentito eccellente l'ex sindaco democristiano Agatino Licandro. Insomma i due quadri di riferimento fomiti dai pentiti e da Licandro avrebbero coinciso nei più minuti dettagli. A questo punto sono stati firmati gli ordini di cattura motivati dal gip Domemeo Ielasi in una sentenza di 50 pagine. La «cupola» calabrese è composta da politici e mafiosi, a differenza di quella siciliana dove si è sempre detto che erano i mafiosi a comandare alcuni politici, ma non a condividerne il tavolo delle decisioni. Il bilancio di questa impresa, dall'85 a oggi, sono 1200 miliardi di lavori pubblici spartiti e 700 morti ammazzati a Reggio e dintorni. Vico Ligato venne ucciso a 50 anni nella sua villetta sul mare di Bocale, a pochi chilometri da Reggio, la sera del 26 agosto 1989. Un gruppo di amici aveva appena lasciato la casa. Lui li aveva accompagnati al cancelletto e lì ha incontrato i killer che lo hanno bersagliato con una tempesta di fuoco: 32 colpi gli hanno massacrato la schiena. Proiettili sparati da una Glock 17 austriaca, da una Browning 7,65 e da una 357 magnum. La moglie, Nuccia Mammana, pochi giorni dopo dichiarò a La Stampa che i mandanti dell'omicidio andavano cercati «in alto», lasciando intra wedere scenari di grande complotto: un'atmosfera alimentata anche dall'arma usata, la Glock in dotazione a vari servizi segreti. Ieri il dottor Giordano ha detto che le dichiarazioni della famiglia, dei politici vicini alla vittima sono state non solo inutili, ma addirittura distraenti. Infatti proprio le perizie sulle armi hanno fornito agli inquirenti la prova opposta di quanto di¬ chiarato dalla moglie: quella stessa Glock era stata usata in due omicidi mafiosi reggini di poco precedenti a Ligato, quello dell'elettrauto Vincenzo d'Agostino e del tassista Stefano Caponera; e un'altra delle armi usata contro il presidente delle Ferrovie era stata impiegata per uccidere, nello stesso giorno, a distanza di 10 chilometri l'uno dall'altro, i fratelli Francesco e Demetrio Nicolò. Ciò significava evidentemente che i killer di Ligato erano soldati della feroce guerra tra le cosche reggine, non misteriosi killer di uno scenario internazionale. Non solo. Tutte quante le vittime di quelle stesse armi apparte¬ nevano allo schieramento mafioso che fa capo al clan di Paolo De Stefano, grande capo, poi assassinato, della mafia reggina. Per analogia anche Vico Ligato venne associato a quella stessa orbita. Ma fino a qualche mese fa ^analogia» fu soltanto un'ipotesi, anche se avvalorata da molti particolari. Per esempio un mese prima e uno dopo l'uccisione vi era stata una tregua nella guerra mafiosa: segno che quell'assassinio apparteneva allo stesso ambiente. Inoltre poche ore dopo l'uccisione del potente de, dopo mesi di stallo, venne trovato un accordo per ricomporre la crisi politica al comune di Reggio: Piero Battaglia eletto sindaco, in pochi gior¬ ni riuscì a sbloccare appalti ed impegni di spesa fermi da mesi. Ligato costituiva ormai una specie di «tappo» che frenava la politica reggina. Perché? Cacciato dalle Ferrovie per lo scandalo delle lenzuola d'oro, era rientrato a Reggio dopo dieci anni trascorsi a Roma, con l'arroganza e la frenesia di sempre, ma con un pacchetto di conoscenze e di rapporti che i reggini non si potevano nemmeno sognare, che arrivavano persino al business del traffico internazionale di armi. E sulla città, in quei giorni, stava per cadere una pioggia di miliardi, 600 esattamente, in commesse e lavori pubblici. Ligato, con le sue 25 società di af¬ fari e di consulenze, era un concorrente che veniva a rompere le uova nel paniere ad un sistema che, dopo di lui, aveva trovato altre composizioni ed altri protagonisti. E così fu ucciso. Mandanti i quattro politici e i capicosche, uniti nello stesso sodalizio: Pasquale Condello, di Archi, uomo di Antonino Imerti, il grande antagonista di De Stefano; Santo Araniti, Domenico e Paolo Serraino, tutti latitanti. Il vecchio boss Diego Rosmini, 65 anni, detenuto. I due killer Giuseppe Lombardo, 26 anni, detto «Cavallino», in carcere, e Natale Rosmini, 27 anni, latitante. Cesare Martinetti L'ex presidente delle Ferrovie ritenuto un pericoloso concorrente per un affare da seicento miliardi Sopra Lodovico Ligato, l'ex presidente delle Ferrovie ucciso tre anni fa davanti a casa (foto a sinistra)