«Martire» scomodo in casa dc di Filippo Ceccarelli

«Martire» scomodo in casa dc «Martire» scomodo in casa dc Dietro la sua bara, il grande vuoto I SILENZI COLPEVOLI CROMA GGI nessuno viene più a villeggiare in provincia di Reggio...». Accidenti: pure delle conseguenze drammatiche che quel cadavere avrebbe avuto sul turismo estivo, sui bagni nel mare blu della Calabria, aveva voluto dire la sua, a caldo, l'onorevole Pietro Battaglia. Ecco, uno degli uomini oggi accusati di essere tra i mandanti dell'omicidio Ligato si disse «costernato», espresse «il dolore per la perdita dell'amico», «un dolore personale», «uno sconforto infinito». Riletta adesso, la lunga dichiarazione di Battaglia, poche ore dopo che avevano accoppato il suo collega di partito, un po' suona incredibile e un altro po' fa venire i brividi. Quel fraseggio tra lo scontato e il cifrato: «Nessuno può individuare la matrice, ma il modo in cui è stato compiuto il delitto dà l'idea dell'esecuzione di stampo mafioso, anche se esistono riserve e, soprattutto, se spetta agli inquirenti accertare cosa e perché sia accaduto». Quel registro rituale che, sposato al sociale, genera una fredda, troppo fredda retorica: «C'è l'esigenza di un nuovo coraggio, di non abbassare la guardia, di cercare forti aggregazioni...». Quel politichese che per forza di cose, acquista all'improvviso un'eco sinistra: «Certamente la criminalità organizzata è un fatto che impone profonde riflessioni...». Profonde? Il turismo in Calabria, il dolore, la criminalità, «comunque un delitto incomprensibile concludeva Battaglia -, negli ultimi tempi Ligato si era completamente staccato dalla politica». Ora che chi le ha pronunciate è in galera, queste parole possono suonare come un indizio di verità e al tempo stesso di mostruosa menzogna. Così come, sempre a rileggersi le cronache di quel fine agosto insanguinato, con una certa impressione si scopre che proprio Battaglia fu uno dei pochissimi parlamentari de (cinque, per l'esattezza) presenti nella piccola cappella del cimitero centrale di Reggio, per la messa celebrata da don Nunnari. Gli altri democristiani importanti, no che non c'erano. Il ministro Riccardo Misasi, a cui Ligato doveva la nomina a presidente delle Ferrovie, giustificò la sua assenza con un «disguido»: «Il prefetto mi aveva detto che i funerali sarebbero stati a Roma». Disse anche, Misasi: «Negli ultimi dieci anni sarò stato in Calabria cinque o sei volte, e sempre di passaggio». E questa specie di vana indifferenza di fronte al crepitare delle mitragliette a Bocale, questo cieco sorvolare sull'appartenenza di Ligato alla de fu scambiata dagli avversari come un dato di arroganza. E invece almeno a Reggio e dintorni era anche, se non del tutto, paura. Mentre a Roma, sicuramente, era sbigottimento e imbarazzo: da nascondere con la consueta dose di gelida astuzia de. Quella di «Vico», infatti, era una tipica carriera democristiana da Anni Ottanta. Ora si trattava di negare prima di tutto l'esemplarità del caso, che sembra la prova generale del delitto Lima. Di ridurne appunto l'aspetto, come dire, premonitorio. .Guadagnare tempo, ignorare quanto più a lungo quel cadavere ingombrante. E forse ci sarebbero anche riusciti ad attutire il colpo, i de, se agli spari e alla fine di Ligato non fosse seguita un'inconsueta - alla fine di agosto - riunione del Consiglio nazionale. Ad ogni buon conto De Mita, in apertura, commemorò per un quarto d'ora i defunti del partito, che risultarono Gullotti e Natali. La relazione di Forlani fece cenno, vaghissimamente, a «fatti delittuosi ed ef¬ ferati crimini». Tutto pareva filare secondo quegli schemi così sperimentati che non vale nemmeno la pena di concordare. Tra utilissimi «disguidi» e parziali rimozioni, di Ligato non sarebbe rimasto che un pallido ricordo, magari qualche intervista di Giacomo Mancini... Fino a quando, a sollevare lo «scandalo» di quel morto ammazzato che tutti facevano finta di non conoscere, non insorse, con un caldo, nobilissimo intervento, il più anomalo e - rispettosamente - il più guastafeste dei de: Oscar Luigi Scalfaro. Disse: «Ligato è nostro, perché fu nostro deputato e perché a quel posto di responsabilità non c'è arrivato da solo». La de non doveva, non poteva «avvilirsi nel silenzio». «Perché fu scelto? - incalzava il futuro Presidente della Repubblica - Per competenza? Per titoli di amicizia? Per problemi locali? Cioè per lasciare il posto a un altro?». Furono d'accordo con lui Donat-Cattin, Bodrato, Mattarella, Sbardella. Insomma, con la sua frustata, Scalfaro fece riesplodere il caso. Fu un bene. Anche se ora viene da chiedersi se non ci fossero anche i mandanti del delitto, in quella sala a Palazzo Sturzo. Filippo Ceccarelli Ài funerali in chiesa solo l'ex sindaco Battaglia, oggi accusato per il delitto dell'amico rivale Il presidente Scalfaro e, a fianco, Riccardo Misasi e Arnaldo Forlani

Luoghi citati: Calabria, Reggio, Roma