«Non è delitto politico»

«Non è delitto politico» Il partito di Ligato sotto choc: un teorema per distruggerci «Non è delitto politico» Misasi attacca i giudici di Reggio ROMA. «Sono appena tornato da Londra e mi hanno dato questa notizia agghiacciante...». Sono da poco passate le 9 di ieri mattina e il ministro dell'Interno Mancino dà alla direzione de, riunita a piazza del Gesù, la notizia che i giudici di Reggio Calabria hanno indicato in due ex parlamentari de, Quattrone e Battaglia, i mandanti dell'omicidio di Ligato, anche lui ex deputato de e poi presidente Fs: è quasi un colpo al cuore per lo stato maggiore democristiano che si ammutolisce, rimane di sasso. Nessuno durante la riunione ha il coraggio di tornare sull'argomento. La notizia è quasi esorcizzata, scacciata dalla mente dei presenti: una reazione dovuta non tanto all'incredulità, quanto ad un sentimento di paura collettiva. Sì, a questa de martoriata mancava solo l'accusa di un delitto politico-mafioso compiuto contro un democristiano per ispirazione di altri due democristiani per essere a posto. E pensare che 24 ore prima uno scherzo del destino aveva voluto che il neo segretario Martinazzoli definisse la de «un cimitero». Una definizione che era sembrata esagerata, ma che ieri a molti dei presenti è sembrata drammaticamente azzeccata. Ad una settimana dal voto in alcune città tra le quali la stessa Reggio Calabria, infatti, la situazione per il partito si è fatta insostenibile e disperata. All'uscita dalla direzione i capi de, famosi per non conoscere nessun tipo di imbarazzo, non hanno parole. Martinazzoli è quasi indispettito dalle domande dei giornalisti sugli arresti di Reggio. «Voi presumete - risponde - che io sia un magistrato che conosce le carte e non un cittadino che ha ascoltato la radio sta- mattina. Presumete che io sia di Reggio e quindi sappia in che modo aggrava o meno le elezioni. Lasciatemi andare...francamente le vostre domande son cose senza senso». Il suo predecessore Arnaldo Forlani, invece, tenta di raccapezzarsi alla sua maniera, dando un calcio al cerchio e uno alla botte. «Bisogna vedere spiega - se è vero. Se c'è da fidarsi dei dirigenti della de calabrese? Come in tutte le categorie ci saranno le cose buone e quelle meno buone». E quel senso di disagio e di disperazione accompagna i dirigenti de per tutto il giorno, unito alla voglia di reagire. Seduto su un divano alla Camera anche Ciriaco De Mita dice la sua. «Io con Ligato - racconta - non avevo rapporti stretti. Sono sconvolto, ma per me ci sono delle cose che non tornano. Non riesco ad immaginare concretamente come si possa uccidere qualcuno per politica. Non è avvenuto nemmeno in Sicilia». Poco più in là i padroni della de calabrese tentano di spiegarsi, di prendere le distanze da questo scomodo e ingombrante delitto. E dai loro discorsi viene fuori, involontariamente, uno spaccato raccapricciante di quello che è la politica nel Meridione. Riccardo Misasi, signore della de calabrese, che a sentire le cronache sarebbe stato un rivale di Ligato, è al centro dell'attenzione generale: «Guardate - spiega - che Ligato, Quattrone e Battaglia son sempre stati in polemica tra loro. Ecco perché la tesi dei giudici che i tre possano essere stati in affari mi sembra contraddittoria. Eppoi quali soldi arrivano in Calabria: da noi invece di Tangentopoli, ci sarebbe Pezzentopoli. Se quello di Ligato è stato un delitto politico-mafioso? Politico mi pare incredibile, mafioso possibile. Comunque, se mi ricordo bene, il primo a denunciare le infiltrazioni della 'ndrangheta fu proprio Quattrone qualche anno fa, poi lo fece il sindaco Licandro. Lui, Ligato, era un uomo intelligente, ma un po' sui generis, un po' anomalo rispetto alla realtà locale. Era indipendente quasi a rasentare la spavalderia...». E' quasi torrentizio Misasi nel raccontare la sua storia con Ligato. «Io - va avanti - a Lodovico sconsigliai di fare il presidente delle Fs. Gli chiesi: "Ma sei giovane, perché lasci la politica?". Mi rispose citando McNamara: "Arriva il tempo che politici e tecnici debbono scambiarsi il posto". Io non credevo che fosse ancora preparato abbastanza per quel ruolo, ma poi smisi di oppormi. Poi successe quel che successe. Dopo lo scandalo non mi sembrò mai preoccupato. Mi disse, in più di un'occasione, che voleva buttarsi nell'impresa e non più nella politica. Ma non certo a Reggio Calabria. Mi disse: "Io tornare a Reggio? Fossi matto". Tanto che credevo che volesse chiedermi di far pratica in qualche impresa finanziata dall'intervento per il Mezzogiorno. Ecco perché rimango perplesso a sentire i giudici. Comunque, l'importante è rinnovare la de di laggiù e noi vecchi non dobbiamo più avere ambizioni personali, ma aiutare stando in terza o in quarta fila». Anche Puja, capo degli andreottiani locali, è matematico nello spiegare con le «storie» della de quanto siano inverosimili le tesi dei magistrati. «Questi - disserta - non andavano d'accordo nemmeno per prendere un caffè, immaginiamoci se potevano esserlo per commissionare un delitto». Un altro deputato de, Vito Napoli, è addirittura impietoso nelle argomentazioni che usa per scagionare gli imputati. «Ma a uno che aveva gestito - domanda - i 100 mila miliardi delle Fs, cosa gliene fregava dei 300 di Reggio? La verità è che è stato ucciso o per qualcosa legata alla gestione delle ferrovie, o per qualcosa di più basso... Storie di passioni. Io mi ricordo ancora quando mi disse che si era stufato di fare il deputato "perché si conta niente". O l'ultima volta in cui mi disse che aveva un dossier: "A me non mi fregano"». Le storie calabresi, la politica e gli affari. Nella de choccata si dice di tutto. Ma, soprattutto, si ha paura e la paura porta i democristiani ad imprecare contro i giudici. «Passi per Quattrone - insorge Gerardo Bianco - ma Battaglia me lo ricordo, era uno che dormiva da mane a sera. La verità è che vogliono distruggerci. Oggi un nostro deputato ha ricevuto per sbaglio un fax dei magistrati abruzzesi diretto al ministero della Giustizia: chiedevano 500 apparecchiature per le intercettazioni telefoniche. Che vogliono fare? Metter sotto controllo tutta la "nomenklatura", come dicono loro, abruzzese?». «Sì - gli fa eco Castagnetta capo della segreteria di Martinazzoli - questa storia che esce ad una settimana dalle elezioni di Reggio lascia perlomeno perplessi». Augusto MinzoJini £