Aveva scoperto che un pm lavorava per la Piovra

Aveva scoperto che un pm lavorava per la Piovra RETROSCENA NEL PALAZZO DEI VELENI Aveva scoperto che un pm lavorava per la Piovra CM E' un'immagine che, ™ meglio di ogni altra cosa, rende il senso della tragica fine del giudice Ciaccio Montalto. Proprio nei giorni scorsi è stata riproposta dalla tv, durante il programma «Funerali di Stato», messo in onda da «Raitre» giovedì sera. Non sarà sfuggita, almeno ai più attenti, la scena della camera ardente allestita al palazzo di giustizia di Trapani, in onore del magistrato assassinato. Accanto al feretro, in piedi, con gli occhiali scuri in evidenza quasi a voler nascondere le lacrime, c'era un collega della vittima. Braccia conserte sulla toga nera, la testa chinata. Era il pubblico ministero Antonio Costa, che all'epoca del delitto svolgeva il ruolo di accusatore della mafia. E' stato espulso dalla magistratura, qualche anno dopo. Era infedele. Prendeva soldi dai mafiosi. Secondo Claudio Lo Curto, che istruì il processo per l'attentato di Valderice, la corruzione di Costa entra a pieno titolo nelle concause che hanno determinato la decisione di Cosa nostra di eliminare il sostituto procuratore Giangiacomo Ciaccio Montalto. Ma si sa, come in ogni delitto di mafia che si rispetti, i primi a porgere le condoglianze sono i più agguerriti nemici della vittima. Anche quelli che con il loro atteggiamento ne hanno accelerato la fine. Il giudice Costa non c'entra col processo che ieri, capovolgendo il verdetto di primo grado, ha assolto il braccio militare di Cosa nostra. Lui ne è rimasto fuori, anche se la storia della sua corruzione era diventata il perno su cui ruotava la ricerca del movente. E con lui sono rimasti fuori i corruttori, i Bulgarella, affermati imprenditori trapanesi, quelli che - stando alle convinzioni del giudice istruttore - per conto della «famiglia» Minore cercavano di «oleare» gli ingranaggi della giustizia e «sistemare» i processi. Questi signori devono ancora essere processati. Una discussa sentenza della Cassazione ha strappato il procedimento al giù- dice Lo Curto, quando questi era ancora a Caltanissetta, assegnandolo ai magistrati di Messina. Ma una serie di ricorsi, cavilli e tentennamenti, hanno fatto sì che, dopo più di due anni, non si sappia a che punto stiano le cose. Suscita, quindi, stupore l'assoluzio- ne di ieri, anche perché pronunciata dalla stessa Corte d'Appello che ha cancellato gli ergastoli per la strage di Pizzolungo. Stupore accresciuto dall'assenza di iniziative per concludere l'altro processo, quello di Messina. Una inchiesta che ha messo in luce i guasti di un palazzo di giustizia, quello di Trapani, praticamente ostaggio di un gruppo di potere affaristico-mafioso. Una inchiesta che già alcuni anni fa avrebbe dovuto provocare un «repulisti», più volte invocato (basti ricordare le accuse del vicequestore Nin¬ ni Cassare o del sostituto procuratore Taurisano) e mai arrivato. Solo qualche mese fa il Csm ha trasferito il procuratore Voci, definendo «inadeguato» il suo impegno sul fronte della lotta alla mafia. Merita di essere ricordata, quella storia. Giangiacomo Ciaccio Montalto muore dopo aver scoperto che il collega Costa prendeva soldi per «aggiustare» i processi. La prova? Una intercettazione telefonica dalla quale si apprende che la stessa tecnica (150 milioni) si voleva usare nei confronti di un altro magistrato che rifiuta anche perché «quello (Montalto ndr) aveva scoperto tutto di Costa». Il processo che si vuole «aggiustare» riguarda i Minore, boss incontrastati del Trapanese. Accusati dalla polizia di aver sterminato una piccola gang, «colpevole» di aver sequestrato l'imprenditore Michele Rodittis, i Minore vengono «salvati» da Costa che, «vero capo dell'ufficio» a causa dell'inerzia del procuratore Lu¬ mia, ne chiede il proscioglimento. Tra il pm e Ciaccio Montalto è lite furibonda. Infinite testimonianze parlano di «grida che si sentivano da dietro la porta». Lo stesso Ciaccio Montalto confida ad un sottufficiale dei carabinieri: «Non mi parlare di Costa perché, pur sapendo delle sue malefatte, me lo hanno mandato qua per regalo». Successivamente a casa di Costa gli investigatori troveranno quaranta milioni in banconote ed una pistola col silenziatore e la matricola cancellata. Strano arnese per un magistrato. Per quel; l'arma è stato già condannato e di conseguenza espulso dalla magistratura. Rimane tutto il resto: non l'omicidio, ma tutto ciò che vi ruotava intorno. Quello è un processo che potrebbe fornire la «fotografia» di ciò che è stato p^r anni il palazzo di giustiziu di Trapani. L'ultimo processo di "alia risale al 1977. O forse ai '8, non si sa bene. Francesco La Licata Si era confidato con un carabiniere: «Mi hanno mandato quel collega per ostacolare il mio lavoro» Le condoglianze del Presidente Pettini ai familiari del magistrato ucciso

Luoghi citati: Caltanissetta, Messina, Valderice