La Norimberga rossa assolve il pois

La Norimberga rossa assolve il pois Confermati i decreti che sciolsero il vertice del partito, salve le organirzazioni di base La Norimberga rossa assolve il pois / comunisti non sono più fuorilegge MOSCA DAL NOSTRO INVIATO La Norimberga del pcus non c'è stata. La Corte Costituzionale non ha riconosciuto il partito comunista né come organizzazione anticostituzionale, né come organizzazione criminale. Il ricorso, voluto da Burbulis e dai radical-democratici, è stato semplicemente non preso in considerazione dai 13 giudici della Corte. Con un doppio escamotage: la richiesta è «non ricevibile in quanto il pcus si è dissolto e ha perduto la sua ragion d'essere con la scomparsa dell'Urss, mentre il pc russo non era mai stato registrato come organizzazione indipendente». Il trucco c'è, e si vede. Ma in questo modo, sul piano politico, i comunisti escono da un anno di «clandestinità morale» e ritornano sulla scena con ima piena legittimazione giuridica. Su questo primo punto la Corte non è stata affatto «salomonica». Ma essa doveva dare risposta anche al ricorso promosso da un gruppo di deputati comunisti, che chiedevano l'invalidazione dei tre decreti presidenziali del 1991 che avevano prima «sospeso» e poi «sciolto» il pcus e il pc di Russia, sequestrandone tutti i beni. E in questa seconda risposta essa ha in parte «equilibrato» i piatti della bilancia. I giurati hanno riconosciuto, a maggioranza, il diritto del Presidente di sciogliere le strutture dirigenti del pcus, ma gli hanno negato quello di vietare l'attività del partito e delle sue organizzazioni di base. In altri termini, pur non invalidando i tre decreti, la Corte ha deciso che otto punti in essi contenuti non sono costituzionali e, per quanto concerne le proprietà del partito, essa ha autorizzato il sequestro solo di quelle che erano state illegalmente sottratte allo Stato, mentre ha decretato l'obbligo della restituzione delle altre. Toccherà ora ai tribunali ordinari ha detto Valéry Zorkin, presidente della Corte - sciogliere l'immenso contenzioso che si aprirà inevitabilmente. Un'immediata conferenza stampa, guidata da Ivashko (ex vice-segretario generale del pcus) e Kuptsov (ex primo segretario del pc russo) ha mostrato subito che i comunisti hanno incamerato la vittoria. Con un certo fair play, in verità, e non senza rimproveri alla Corte per aver «subito le pressioni del Presidente». Ma l'essenziale è che da ieri è cominciato il lavoro per ricostituire il partito comunista russo e che un congresso imminente ne eleggerà i nuovi organismi dirigenti. Gli effetti della sentenza minacciano di essere esplosivi. Un'altra conferenza stampa, convocata nel pomeriggio da Burbulis, ha messo in evidenza l'imbarazzo del team presidenziale. H consigliere numero uno di Eltsin ha Tatto buon viso a cattivo gioco, presentando la sentenza come un successo parziale. Meno diplomatico, l'avvocato Makarov ha detto senza mezzi termini che la Corte ha «ceduto» alle pressioni delle forze revansciste («è ancora presto per parlare di un potere giudiziario indipendente»). In ogni caso - ha aggiunto - «i decreti presidenziali non sono stati annullati» e il partito che verrà ricostituito non sarà comunque titolato a pretendere diritti sulla proprietà del pcus. Comincia insomma la disputa interpretativa, che non finirà mai più. Restano gli effetti polìtici. La decisione della Corte è subito apparsa così pesante per Eltsin che il presidente è stato costretto a correre ai ripari per evitare altri danni alla vigilia del Congresso. La Corte, infatti, ha immediatamente affrontato ieri un altro ricorso contro un altro decreto: quello che ha recentemente messo fuori legge il Fronte di salvezza nazionale. Nel timore di una nuova sentenza negativa, Eltsin ha invitato perentoriamente la Corte a rinviare l'esame del decreto a dopo il Congresso. E la Corte - che appare profondamente divisa - ha respinto la richiesta, salvo poi aggiornarsi senza concludere l'esame. Lo scandalo è esploso quando due giudici costituzionali, Anatolij Kononov e Ernest Ametistov, si sono dimessi dichiarando la loro «non obiettività in materia». E, mentre Zorkin convocava una conferenza stampa per difendere l'operato della Corte, un terzo giudice, Viktor Lucin, convocava i giornalisti nel suo ufficio per accusare il tribunale supremo di aver subito pressioni. «Non c'è alcuna norma che autorizza il Presidente Eltsin a prendere le decisioni che ha preso. E quando un uomo di Stato decide lui come e quando agire, senza basarsi sulla legge, questa è la via diretta a un regime autoritario», [g. c] Il presidente della Corte Costituzionale Zorkin legge il verdetto sul pcus [foto ap) l8S£sft

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