Beata Angelika ritrattista stanca del suo successo
Beata Angelika ritrattista stanca del suo successo La Kauffmann riscoperta Beata Angelika ritrattista stanca del suo successo DMILANO N viso tondo, una matita in mano, le dita sollevate in un arpeggio rococò, uno sguardo penetrante e smarrito: è uno dei primi autoritratti di Angelika Kauffmann, pittrice neoclassica che abbiamo dimenticato e che si riscopre in un'elegante mostra alla Permanente (fino al 17 gennaio). «Come avete potuto trascurarla? E' vostra, è italiana», rimprovera il curatore Oscar Sandner. «Questa è la prima mostra che le si dedica in Italia». Ci sono circa cinquanta opere della pittrice; in più, le rendono omaggio ventidue artisti contemporanei, da Accardi a Mariani e Ontani e Parmiggiani, da Rainer a Twombly. Una vita straordinaria, quella di Angelika Kauffmann, che colpì molto l'Europa del tempo. Uscirono subito sue biografie. Nata in Svizzera nel 1741 da madre originaria dei Grigioni e da padre austriaco, Angelika a dodici anni fece il ritratto del vescovo di Como. Una bambina prodigio. Mise su tela la Milano aristocratica. A Roma conobbe il Piranesi e il massimo teorico del neoclassicismo, Winckelmann, che ritrasse gioiosamente assorto in una gran luce: gli conferì «una sorta di sublimazione omosessuale», dice Sandner. Il quadro, molto bello, è presente nella mostra. E filosofi come Herder e Augusto Guglielmo Schlegel furono attratti dalla grazia ambigua dei suoi nudi, di un erotismo - osserva ancora Sandner - con notazioni ermafroditiche. Da Roma andò a Londra, dove rimase per quindici anni e raggiunse quotazioni appena al di sotto di quelle di un Gainsborough. Si sposò prima con un sedicente conte svedese, poi con un artista veneziano, Antonio Zucchi, di quindici anni più vecchio, devoto e servizievole: le disponeva le tele sul cavalletto, le stendeva i colori di fondo. Tornata a Roma, la sua casa in cima alla scalinata di Trinità dei Monti divenne uno dei salotti più frequentati e acclamati. L'imperatore Giuseppe II le fa visita. Pio VI si trattiene, sconsigliato dall'invidia di corte. Il Canova cura per così dire la regia dei suoi funerali nel 1807, i più fastosi dai tempi di Raffaello. L'Angelika Kauffmann più segreta la colse forse il suo amico Goethe. La trovò malinconica, scontenta. Angelika era stanca di quel vortice di successo e denaro: avrebbe voluto dipingere non più su commissione ma «a piacer suo». «Potrebbe», dice Goethe, perché Angelika «possiede un talento incredibile e, per donna, veramente straordinario». E' il dramma dell'artista nel suo rapporto con il mercato. L'ha colto, fra i contemporanei, il viennese Nitsch, che raffigura Angelika sugli scellini dipinti in grandi quadri grondanti di solo nero. Claudio Altarocca Un autoritratto (1762) di Angelika Kauffmann. Alla Permanente di Milano sono esposte 50 opere della pittrice
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