Il cinema che piaceva a Hitler e Stalin di Gianni Rondolino

Il cinema che piaceva a Hitler e Stalin Chiude a Bologna l'interessante rassegna cinematografica dei film prodotti durante le dittature Il cinema che piaceva a Hitler e Stalin Tra arte e propaganda, imprese di regime e grandi affreschi BOLOGNA. Di «cinema totalitario» si è parlato e scritto per molti anni: il cinema delle dittature europee, fascismo e nazismo, ma anche stalinismo: il cinema di propaganda, il cinema del consenso politico. Ma una assegna che di questo cinema volesse darci un'immagine meno tradizionale, più legata ai gusti e alle tendenze Zei singoli dittatori, più direttamente coinvolta nello «spirito dei tempi», non era stata ancora organizzata Ci ha pensato la Mostra Internazionale del Cinema Libero di Bologna, che per la sesta edizione del «Cinema Ritrovato», che si è inaugurata domenica scorsa, ha messo insieme un cospicuo numero di film e documentari realizzati nel corso degli Anni 30 e 40 e prodotti nell'Italia di Mussolini, nella Russia di Stalin e nella Germania di Hitler. Si è partiti con qualche documentario di propaganda sulle «imprese di regime» in Italia e Germania («Riscatto» dell'Istituto Luce, «Die Bauten Adolf Hitlers» dell'Ufa) per giungere subito, con «Camicia Nera» (1933) di Giovacchino Forzano al cuore del problema. Il film, che doveva celebrare il decennale della Marcia su Roma, ma uscì nelle sale con qualche mese di ritardo, fu in larga misura approvato, e per certi aspetti addirittura supervisionato, da Mussolini. Il quale, avendo definito il cinema «l'arma più forte», era perfettamente cosciente delle possibilità propagandistiche del nuovo mezzo. Tra film di finzione, come «Campo di maggio» (1935), sempre di Forzano, in cui Napoleone viene di fatto paragonato a Mussolini, e film documentari e cinegiornali, il fascismo seppe utilizzare il cinema con grande impegno, anche se i risultati artistici e spettacolari furono spesso discutibili. E tuttavia quel rapporto fra propaganda e spettacolo, che vediamo in «Campo di maggio» come vedremo più tardi in «Scipione l'Africano», sta alla base di un progetto cinematografico che riscontriamo anche nello stalinismo e nel nazismo. In quest'ottica non poteva mancare l'opera d'un regista come il sovietico Mikhail Ciaureli, di cui «La caduta di Berlino» (1949), in un'edizione ricostruita e completa, viene proiettata oggi, in chiusura di rassegna. Non poteva mancare, perché Ciaureli fu quello che possiamo definire «lo Stalin del cinema», il regista che meglio seppe rappresentare l'ideologia staliniana, la sua immagine pubblica, il suo gusto popolaresco. E di Stalin riflesse, come lo riflettevano i romanzi e i quadri del «realismo socialista», il carisma. Quasi che lo schermo, con le sue mille immagini semoventi, moltiplicasse il volto, i gesti, le parole del dittatore in una sorta di aureola sacrale. La stessa aureola che emana dal grande e retorico docu¬ mentario sulla morte di Stalin, «Il grande dolore». Di questa retorica propagandistica, ma a un livello di elaborazione estetica assolutamente irripetibile, è ricco, come si sa, «Il trionfo della volontà» di Leni Riefenstahl, girato nel corso del Congresso nazista di Norimberga del Ì934. In questo film l'immagine di Hitler assume la forma e la sostanza di una divinità, come se il cinema avesse sostituito, nella sua liturgia affascinante e coinvolgente, i vecchi riti religiosi. Ed è interessante allora confrontare quelle immagini divine con quelle, ben più familiari e quotidiane, girate da Eva Braun nei suoi film cineamatoriali: un Hitler in pantofole, scherzoso e affabile, divertente e divertito. L'altra faccia, rassicurante e persin gradevole, del dittatore gelido e sanguinario. Gianni Rondolino