«Quell' antisemita di Shakespeare

«Quell' antisemita di Shakespeare«Quell' antisemita di Shakespeare DGONE di Certoit non è il primo a proporre di lasciar perdere II mercante di Venezia, che tempo fa anche Guido Almansi definiva, di passaggio, come un testo antisemita; Almansi definiva anche La bisbetica domata come un testo antifemminista. Mercante e Bisbetica sono due lavori giovanili che spesso la critica considera fra i minori del creatore di Amleto: essi hanno peraltro la caratteristica, forse sorprendente, di funzionare infallibilmente sulla scena, e nel canone sono fra i preferiti dal pubblico in ogni epoca, compresa la nostra. Non c'è dubbio che entrambi si rivolgessero in origine a un pubblico convinto tanto dell'insita malvagità degli usurai ebrei, quanto dell'opportunità che in famiglia l'uomo porti i calzóni, riducendo se necessario la moglie al silenzio e all'obbedienza con qualunque mezzo. Ma sta di fatto che, evitando come sempre di assumere ima posizione decisa senza aver concesso a tutti la possibilità di dire la loro, Shakespeare - così come aveva fatto della terribile Caterina una donna spiritosa e intelligente, la cui sottomissione un'attrice può presentare, se vuole, come un gioco o un'astuzia - mise in bocca allo spietato Shylock parole che possono essere tranquillamente usate in apologia del popolo eletto, tanto che non possiamo più sentirle senza disagio. ' Fu sempre così? Oggi John Gross, già direttore del Times Literary Supplement, critico teatrale e autore di uno studio famoso sulla genesi del letterato, dedica alla fortuna del lavoro shakespeariano un saggio lungo ben 355 pagine e magnificamente documentato {Shylock, ed. Chatto & Windus). La materia è divisa in varie sezioni, di cui quella portante riguarda i vari modi con cui i grandi attori affrontarono questa succosissima parte, che dopo l'epoca elisabettiana, di cui sappiamo ben poco, tornò nel repertorio a partire dal 1701, in una rielaborazione di George Granville intitolata The Jew ofVenice. Come ruolo mattatoriale Shylock esordì ancora più tardi, nel 1741, quando si legò al primo trionfo di Charles Macklin, attore irlandese quarantenne che per l'occasione tornò al dettato e al titolo originali. Per entrare nella parte Macklin si era documentato sugli usi delle comunità ebraiche. Fece di Shylock un uomo che si adora odiare, un mostro di nequizia, un babau etnico con parrucca rossa e papalina, e a grande richiesta tornò a incarnarlo per quasi cinquant'anni, finché, quasi novantenne, non lo tradì la memoria. Fra i suoi molti imitatori si distinse George Frederick Cooke, che era un attore energico, duro, e un gran bevitore. Cooke morì in America, e Edmund Kean, che lo idolatrò e fece traslare le sue spoglie in una sepoltura migliore, si impossessò nell'occasione di un suo osso - un alluce - che tenne come una reliquia per anni, finché la signora Kean non riuscì a sbarazzarsene. Proprio come Shylock infatti lo sconosciuto Kean, anche grazie alla presenza in sala di un critico come Haz- litt, era diventato celebre in una sola sera, il 26 gennaio 1841 (rincasando disse alla moglie: «Mary, d'ora in poi tu andrai in carrozza, e nostro figlio Charley andrà a Eton»), Il suo Shylock continuava ad essere maligno e spietato; ma abbandonati i tratti esotici - ora aveva una chioma corvina, e occhi febbricitanti impressionava per la forza e la dignità; era un uomo a modo suo superiore, un gigante. Un critico disse che in certi momenti era come trovarsi davanti a un capitolo della Genesi. Dopo Kean tutti i massimi attori inglesi e americani dell'Ottocento, da Macready* a Phelps, da Lewes ai Booth, affrontarono il personaggio di Shylock; il primo a darne una lettura quasi totalmente positiva in senso moderno fu Henry Irving, che lo recitò più di mille volte a partire dal 1879. Il reverendo Dodgson al secolo Lewis Carroll - sono lieto di poter citare un episodio che sfugge a John Gross - fu talmen1 te conquistato dalla sua tranquilla grandezza, da trovare intollerabile per un cristiano il finale in cui a Shylock viene imposta la conversione forzata, e scrisse una lettera a Ellen Terry (Porzia) supplicandola di convincere Irving a modificarlo. In seguito i vari Beerbohm Tree, Benson, Lang, Masefield avrebbero continuato su questa strada che, con variazioni dovute al temperamento dei vari interpreti, è quella giunta fino a noi: non senza qualche eccezione, fra cui la più flagrante è quella tedesca. Grazie all'entusiasmo e alle tra¬ duzioni dei romantici, Shakespeare era infatti un autore totalmente assimilato dalla cultura germanica, e non meraviglia apprendere come dopo essere stato un cavallo di battaglia di Ludwig Devrient, il Kean tedesco, di Schildkraut e di altri illustri figli di Tespi, Shylock venisse usato dalla propaganda nazista a scopo diffamatorio. Nel solo 1933 ci furono ben venti allestimenti del Mercante in Germania, e altri trenta fra il '34 e il '39, tutti con un Ebreo di ben sottolineata odiosità - e molti con soluzioni di comodo per giustificare il lieto fine delle nozze miste fraJsua figlia Jessica e l'ariano Lorenzo. Werner Krauss, che aveva affrontato la parte per la prima volta con la regia di Max Reinhardt, si specializzò in queste caricature grottesche, arrivando a figurare perfino nell'ignobile allestimento al Burgtheater di Vienna del maggio 1943, ossia quando la Soluzione Finale era ormai avviata; lo spettacolo avvenne con intenzioni celebrative dietro espresso ordine del Gauleiter locale, Bal- dur von Schirach, molto attivo nelle deportazioni (processato per attività filonaziste nel '48, il famoso attore se la sarebbe cavata con una ammenda di circa 250.000 lire odierne). Che la materia del Mercante potesse prestarsi a strumentalizzazioni era stato segnalato anche prima. Nel 1890 la comunità israelitica di Trieste chiese a Ernesto Rossi .di rinunciare a rappresentare il testo, che poi però andò in scena io stesso; in quella occasione un colto giovane ebreo, che non aveva ancora adottato lo pseudonimo di Italo Svevo, espresse in un articolo di giornale la sua soddisfazione per la mancata censura, citando un altro ebreo, Heine, per assolvere Shakespeare dall'accusa di anti-. semitismo. Ermete Novelli aderì invece a un'analoga richiesta che gli fu fatta a Odessa nel 1905, anche se la sua mancata andata in scena non servì a impedire poche settimane dopo in quella città un pogrom con 300 morti. Il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset registrò nel 1910 le sue perplessità proprio sul¬ l'interpretazione caricata, colorita e fondamentalmente calun-v mosa dell'attore italiano: «Signor Novelli, Signor Novelli, perché fare di Shylock una figura pittoresca? Nell'ebreo veneziano Shakespeare rievoca un dolore millenario: con licenza poetica, senza scendere a compromessi, egli ritrae l'immagine crudele dell'odio fra le razze, e dell'inimicizia fra i loro Dèi». Sono parole che in tempi ancora poco sereni come quelli che stiamo attraversando è difficile non condividere. Come conclude John Gross, è assurdo postulare una linea diretta di discesa da Antonio (l'avversario di Shylock) a Hitler, o da Porzia alle SS. Ma d'altro canto non si può nemmeno pensare che il terreno per l'Olocausto non fosse stato ben preparato: «E sotto questo punto di vista la commedia non potrà mai più sembrare la stessa. Continua ad essere un capolavoro; ma c'è un gelo permanente nell'aria, perfino nei giardini di Belmonte». Masolino d'Amico Un articolo di Ugone di Certoit scatena la polemica: Shylock è davvero da dimenticare? Un critico inglese: «Assurdo postulare una linea diretta di discendenza da Antonio a Hitler e da Porzia alle SS» In una incisione di Cruikshank, Edmund Kean alle prese con Shylock. Sopra: una performance del Citizen Theatre e (nel titolo) quella celebre di Lionello

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