«Non condannate a morte l'assassino di mia moglie» di Gabriele Romagnoli

«Non condannate a morte l'assassino di mia moglie» Pena capitale a Singapore per il ragazzo che uccise un'italiana «Non condannate a morte l'assassino di mia moglie» DALL'ORIENTE LA VENDETTA DELLA LEGGE SE qualcuno uccidesse la persona che amate di più al mondo, la madre dei vostri figli, vi accontentereste di vedere l'assassino in prigione o vorreste una punizione da legge del taglione? In Italia, dove la pena di morte non esiste, è una domanda da talkshow o da discussioni tra amici, non una praticabile alternativa. Tranne che per una persona, una sola: Franco Di Girolamo, ingegnere informatico, originario di Pescara, vedovo. Sua moglie è stata uccisa due anni fa, il dieci ottobre del '90, a Singapore, dove si erano trasferiti per lavoro. Ieri i giudici dell'alta corte di quel Paese hanno condannato a morte per l'omicidio un cinese di vent'anni, Maksa Tohaiee. L'ingegner Di Girolamo ha appreso la notizia in Belgio, dove ora si è trasferito assieme ai suoi due bambini. Gliel'ha comunicata la madre, che ancora vive in Abruzzo, in un paese chiamato Cepagatti. Sul filo del telefono un lungo silenzio sconcertato, poi la frase: «Speravo non lo facessero». E la madre, settant'anni, un'esistenza di lavoro alle spalle, fabbriche belghe e campagna d'Abruzzo, la domenica a messa in piccole chiese di paese, dice semplicemente: «Anch'io». E' la storia di un delitto feroce per una rapina da quattro soldi, di una vendetta di Stato che i parenti della vittima non vorrebbero. Attraversa due mondi e due culture, aggiungendo dolore a dolore. Comincia una mattina di due anni fa. I Di Girolamo sono a Singapore da un mese. E' una famiglia felice. Franco e Clementina si sono conosciuti all'università: lui studiava ingegneria, lei scienze biologiche, laurea col massimo dei voti per entrambi. Franco viene assunto alla Philips, destinazione Belgio, un paese che conosce bene perché ci ha vissuto con i genitori emigranti. Si sposano, hanno due figli, maschio e femmina. Dopo qualche anno l'azienda propone un trasferimento in Brasile. Partono tutti assieme. Ma la nuova destinazione non li soddisfa. «A Clementina San Paolo non piaceva - spiegò il suocero ai giornalisti all'indomani del delitto -. Aveva paura della delinquenza, là ce n'è davvero troppa». E allora via, verso terre più amabili e sicure, almeno nelle aspettative, che il destino avrebbe poi tradito. Nuova destinazione, Singapore. E nuova vita: una villa a due piani nel quartiere residenziale a Whitley road, un incarico per Clementina, che insegnava nella scuola creata per i figli degli emigrati. Nelle prime telefonate a casa un tono diverso e una certezza: «Qui saremo felici». Per sistemare la nuova residenza i Di Girolamo incaricano un'agenzia di pulizie, che invia loro tre persone. La mattina del 10 ottobre la famiglia fa colazione come sempre alle sette e trenta. Poi l'ingegnere esce per andare al lavoro. La moglie accompagna i figli a scuola e ritorna. Quando torna trova due addetti alle pulizie indaffarati al pianterreno. Si guarda intorno e non vede il terzo, sale al piano di sopra e lo scopre mentre sta rubando dei gioielli. E' un ragazzo di diciotto anni. Si spaventa, la trascina nel bagno, la colpisce, lei cerca di difendersi, troveranno tracce di colluttazione sul suo corpo, graffi al volto e al collo, indizi di un'agonia nella disperazione. L'avversario vince, la stor¬ disce e la fa morire soffocata nella vasca colma d'acqua. E' lì che il marito-la trova al rientro, dopo averla cercata invano nelle altre stanze. Resta choccato. Non parla per giorni. Prega l'ambasciata italiana di tenere lontani da lui cronisti e corrispondenti dfcteri. Chiede funerali riservati per la sua «Clemi» che viene sepolta nel paese d'origine, Firmo, in Calabria. Domanda alla Philips il trasferimento in altra sede. E' ancora in Italia quando la polizia arresta nel quartiere popolare di Ang mo kio il giovane cinese addetto alle pulizie. L'accusato confessa. Più tardi ritratterà, ma troppo tardi per convincere la giuria. «Mio figlio Franco è stato al processo - racconta la madre al telefono dalla provincia di Pescara - ma molto a malincuore. Prima di partire mi aveva detto: se la mia testimonianza dovesse essere decisiva per la condanna, preferirei non andare. Non ha potuto aspettare la sentenza perché aveva impegni di lavoro in Belgio, ma non se l'aspettava così severa. Noi siamo cattolici, non chiediamo vendetta, ma giustizia. Quel ragazzo certo non può essere perdonato, sapeva di avere di fronte una madre di famiglia con due bambini, e l'ha uccisa, ma ammazzare anche lui non serve. Lo dice anche mio figlio. Ripete: "Nulla mi ridarà Clementina". Al processo l'ha rivisto, gli ha fatto compassione, ha conosciuto i suoi genitori, mi ha detto: "Assomigliano a te e papà, sono molto anziani"». Signora, firmerebbe una domanda di grazia per l'assassino di Clementina? La donna esita, poi risponde: «Sì». E suo figlio Franco la sottoscriverebbe: «Sì, anche lui. L'ho detto, siamo cattolici. Lui era turbato per il destino di quel ragazzo. Ha tutta la vita davanti. A chi e a cosa serve che gli sia tolta?». Gabriele Romagnoli La madre del vedovo «Mio figlio è cattolico e non voleva neppure andare al processo Ora è sconvolto chiedeva giustizia ma il verdetto lo turba» La famiglia Di Girolamo in una foto a San Paolo, prima del trasferimento a Singapore dove Clementina è stata assassinata

Persone citate: Clementina San Paolo, Di Girolamo, Firmo, Franco Di Girolamo