«Donne soldato? Lo sono già stata nel '44» di Francesco Grignetti

«Donne soldato? Lo sono già stata nel '44» Paria una ex ispettrice del corpo ausiliario femminile che affiancò le truppe alleate durante la Liberazione «Donne soldato? Lo sono già stata nel '44» «Non portavo né armi né stellette, ma ho combattuto la guerra» ROMA. «Mi fa un po' ridere questa storia delle prime donne soldato italiane. E anche mi indigna. Io sono un maggiore dell'esercito italiano e sono una donna». Filomena Luciani ha una settantina d'anni e dal 1944 al 1948 ha vestito una divisa. E' stata ispettrice del Corpo ausiliario femminile (Caf) che faceva parte a pieno titolo del Corpo italiano di liberazione. Sono i militari che hanno combattuto a fianco degli anglo-americani. Anche lei ha combattuto la sua guerra. «Non portavamo armi - ricorda il maggiore Filomena Luciani - e neppure le stellette. Sulle spalline avevamo certi bottoni di smalto che segnavano i gradi. I soldati della truppa ci chiamavano le "caffine", ma ci trattavano secondo gerarchia. Noi dormivamo nelle baracche, come tutti e mangiavamo alla mensa ufficiali. Ma non c'è mai stato un guaio, mai una mole- stia sessuale. Erano anni duri. Si faceva la guerra». In gruppi di tre donne - una tenente e due sottotenenti guidavano una «cantin», ossia un camion carico di generi di conforto, carta da scrivere e tabacco. Ma non facevano soltanto le vivandiere, al seguito dell'esercito italiano rifondato. Parlavano, scrivevano le lettere ai soldati analfabeti, istruivano pratiche, davano assistenza. Erano una sorta di com- missarie politiche. «Gli alleati, prima d'incorporare i nostri gruppi di combattimento nella quinta e nell'ottava armata, hanno preteso che il nuovo esercito italiano si modellasse come il loro. E siccome inglesi e americani avevano le ausiliarie, anche noi ci siano attrezzati». Racconta, la signora, come i responsabili del ministero della Guerra (il liberale Casati e il comunista Palermo) la chiamas- sero per affidarle l'arruolamento delle giovani volontarie. «Non sapevamo bene come fare. Non c'erano precedenti. E poi erano gli Anni 40, la mentalità era ben diversa. Comunque ci siamo rivolti all'Udì e al Cif, le asscciazioni femminili che nascevano in quel momento. Cercavamo ragazze con licenza liceale e antifasciste. Non era facile. Comunque ceTabbiamo fatta. F c'è da dire che avevamo fretta, perché altrimenti i grup¬ pi di combattimento non potevano essere incorporati tra gli alleati e noi non volevamo che la guerra finisse prima che il nostro contributo fosse agli atti. Avevamo ragione. L'intervento dei nostri soldati ha pesato sul tavolo delle trattative, a guerra finita». E perché mai il ministro Casati si rivolge alla signorina Filomena, che in quel momento aveva 22 anni? «Perché io ero tra le fondatrici dell'Udì. E avevamo come amica in comune Elena Croce, la figlia del filosofo». Viene preparata una divisa per l'occasione, dunque. Giacca di panno per l'inverno, giubbotto in gabardine per l'estate. Si segue il taglio della divisa delle ausiliarie inglesi. Le italiane - alla fine saranno un centinaio, le «caffine» - portano anche il basco. «Gli alleati avevano una paura tremenda che attraverso i volontari entrassero i comuni¬ sti nell'esercito. Anche le donne erano guardate con sospetto. E per la verità, noi donne eravamo tutte molto politicizzate. A differenza degli ufficiali che erano militari di vecchio stampo, e della truppa semianalfabeta, le discussioni tra noi erano feroci. Ci si controllava a vicenda. Per questo motivo posso dire che noi eravamo una sorta di "commissari politici" dell'esercito italiano». Ma chi entrò nel corpo ausiliario? «Mi ricordo uno dei prinr quipaggi, inviati al fronte verso Bologna. C'era Flavia della Gherardesca, una giovane nobildonna di idee conservatrici. E c'era Giuliana Ferri, poi moglie del deputato Franco Ferri e cognata di Maurizio Ferrara. Tra le due esplodevano litigi furibondi». Nell'esercito entravano le donne che frequentavano il mondo del Cln, insomma. «In una spedizione precedente, a Brindisi, per accogliere e sostenere in qualche maniera i nostri soldati che rientravano dalla Jugoslavia, con me c'era la socialista Rosetta Longo. Era la madre di Pietro Longo, il segretario socialdemocratico finito in galera». E com'è finito il corpo? «Nel 1948 la nostra esperienza era sostanzialmente esaurita. I generali con compiti di comando erano entusiasti. Mi ricordo il generale Montezemolo che disse parole commoventi. Ma dal ministero non eravamo ben viste. Preferirono sciogliere tutto. E io che non avevo mai pensato di farne una professione, lasciai volentieri. Ho ancora la lettera dell'allora ministro che mi ringraziava caldamente. Siamo tornate alla vita civile. Io mi ero sposata, avevo un figlio. Insomma, iniziava il dopoguerra anche per noi». Francesco Grignetti «Sono un maggiore dell'esercito Abbiamo convissuto con i militari senza subire molestie» Donne soldato provano il fucile durante la recente due giorni sperimentale. Ma già nel '44 esiste un precedente

Persone citate: Casati, Elena Croce, Filomena Luciani, Franco Ferri, Maurizio Ferrara, Montezemolo, Pietro Longo, Rosetta Longo

Luoghi citati: Bologna, Brindisi, Jugoslavia, Palermo, Roma