De Felice contestato, «revisionista» di Pierluigi Battista

De Felice contestato, «revisionista» De Felice contestato, «revisionista» Lezione sull'antisemitismo, scontento anche il rabbino ROMft. Pttche'tJagine ancorai ci sarebbe arrivato, il professor De Felice, al punto dolentissimo. E figurarsi se in una lezione sull'antisemitismo l'autore di uno degli studi fondamentali srdla storia degli ebrei sotto il fascismo avrebbe potuto trascurare le leggi razziali del '38. Invece, è bastato un bigliettirio del rettore dell'Università di Roma Giorgio Tecce con su scritto «hai solo cinque minuti» a scatenare il casus belli. Davanti a Scalfaro, Spadolini e al rabbino capo Elio Toaff, circondato dal corpo accademico con tanto di tocco e toga, raggiunto dal lontano gracchiare dei megafoni branditi dai suoi contestatori, atteso al varco da stuoli di giornalisti pronti a intercettare ogni soffio di polemica, De Felice è costretto a troncare di netto il suo excursus storico e salta a pie pari la parte dedicata alle famigerate leggi volute da Mussolini. Toaff si offende e se ne va di malumore. E' il trambusto, l'accendersi impietoso dei riflettori sul professore contestato. Serpeggia il nervosismo e accade pure che il rettore Tecce, dismesso l'ermellino della cerirrfoniaVfiriiscà per esortare a «non rompere le scatole» i giornalisti che chiedono un suo parere sul mugugno di Toaff. Inaugurazione dell'anno accademico con prolusione di De Felice sull'antisemitismo: doveva essere il giorno della contestazione violenta al professore bollato come storico «revisionista». Le transenne e un imponente servizio d'ordine rendono letteralmente impossibile a duecento autonomi di avvicinarsi al rettorato. Sparuti e un po' tetri, i contestatori mettono su una parvenza di controinaugurazione sulla scalinata della facoltà di Lettere. Ce l'hanno con De Felice il «revisionista». Lo accusano di voler «riabilitare» il fascismo. Lo accomunano nientemeno che a Faurisson, il «revisionista» che nega l'Olocausto. Non hanno dubbi, e dalle loro parole sembra quasi che considerino De Felice come il teorico dei naziskin. Partono in corteo e ritmano i loro slogan. «Tecce boia», prima di tutto. E poi: «Chiudiamo la bocca al revisionismo», «Morte al fascio», «De Felice, grande luminare, ti manca solo Attila da riabilitare». Ingiurie, sberleffi, minacce: sembra un pessimo teatro d'altri tempi, uno spettacolino già visto e nient'affatto divertente. Ma i manifestanti sono pochi, l'Università li ignora, gli studenti si girano dall'altra parte. Le vere insidie per De Felice non stanno nel rullio di questi tamburi, ma dall'altra parte delle transenne, dove orecchie maliziose e addestrate soppesano con attenzione ogni parola dello storico bersagliato. Si voleva da De Felice un proclama sui naziskin? E invece De Felice svolge con meticolosità il suo compito di storico. Spiega le matrici culturali del razzismo, connette l'antisemitismo all'avversione per la «modernità» che porta crisi e disorientamento. Spiega che c'è un antisemitismo di destra ma anche uno di sinistra e che il loro terreno comune sta nell'odio per il «capitale». Va avanti fino a che Tecce, seduto al suo fianco, non lo invita bruscamente a tagliar corto. E allora De Felice salta sull'oggi: dice che gli antisemiti attuali sono figli della crisi economica, parla degli energumeni che forse non hanno mai sfiorato un libro ma sono pronti a reagire in «forme sciagurate» alla paura del vuoto. Conclude affermando che in Italia, grazie alla Chiesa cattolica e all'«umanesimo mazziniano», c'è «meno» antisemitismo che altrove. E' bastato quel «meno» a far arrabbiare Toaff. E dopo le strette di mano con Scalfaro e Spadolini, comincia per De Felice l'interminabile calvario delle telecamere. Era venuto per fare una lezione accademica e si ritrova suo malgrado nel fuoco di una polemica. Toaff si è offeso? De Felice estrae dalla tasca i suoi foglietti fitti d'appunti: «Ecco, vedete: qui c'era la parte sulle leggi razziali». Chi gli sta intorno non se ne dà per inteso. Uno gli chiede che cosa pensa «dello storico revisionista Nolte bloccato alla frontiera italiana». «Guardi che era Irving», corregge il professore. E l'intervistatore: «Fa lo stesso». E di quelli che là fuori urlano contro di lui? «Sono un liberale e penso che ciascuno abbia diritto di dire la sua liberamente». Dicono che lei è uno che difende l'antisemitismo. «Si mettano d'accordo con se stessi. Prima sono antisemiti e poi filosemiti. O non è vero che demonizzano Israele?». E che pensa di una nuova legge contro i naziskin? «Bisogna colpire duramente i reati, non le idee. Anche se non ci piacciono, anche se sono cattive. Perché se si comincia a perseguire anche le idee si prende una china che non si sa dove va a finire». Gli slogan, lì fuori, si fanno sempre più fiochi e indistinguibili: puro rumore di fondo. Ma dentro, nella selva di microfoni e taccuini, il professore è sotto assedio. E al decimo «Toaff pensa che...», De Felice perde la pazienza: «Non so cosa lui possa pensare e francamente non mi interessa». E i naziskin? «Quattro fessi, un problema di ordine pubblico che la stampa trasforma in protagonisti». Fioccano le domande, sempre le stesse. E all'ennesima richiesta di un giudizio sulle parole di Toaff, la moglie del professore riesce a trascinarlo via da una specie di incubo. Pierluigi Battista Movimentata inaugurazione dell'anno accademico a Roma: un gruppo di giovani ha contestato la prolusione affidata allo storico De Felice e ha inscenato un sit-in sulle scale della Facoltà di Lettere

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