Francia, la Coca-Cola in ostaggio di Enrico Benedetto

Francia, la Coca-Cola in ostaggio La federazione dei giovani agricoltori: bisogna colpire gli interessi americani Francia, la Coca-Cola in ostaggio Una fabbrica Usa occupata dai contadini PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La rabbia contadina alza il tiro e moltiplica le azioni spettacolari, il governo alterna lo spauracchio del veto sull'accordo Gatt ad avances verso i partner europei, l'opposizione rifiuta ogni appoggio se l'esecutivo domani sera non ribadirà in sede parlamentare l'extrema ratio. Per Bérégovoy è davvero una vigilia di fuoco. «Non sono isolato, la Francia neppure» ribadisce, ma sa che il gioco ormai si fa duro. Per smorzarlo, ieri ha messo innanzi il ministro dell'Agricoltura, Jean-Pierre Soisson, con una semiproposta ironica: in fondo, l'intesa euro-americana sarebbe sottoscrivibile anche da Parigi qualora Bruxelles accordasse ai contadini francesi indennizzi straordinari compensativi. Gli Undici dovrebbero insomma comprarsi di tasca loro la nonbelhgeranza transalpina. Nel contempo, Bére cerca appoggi a 360 gradi fra i partner, nella speranza che il «no» agisca come un detonatore fra gli altri Paesi comunitari innescando la ribellione continentale. I panni del fomentatore mal gli si addicono, ma è difficile condurre una politica non faziosa con il fucile puntato alla schiena. E Matignon ce l'ha. Premono i contadini (che il socialismo francese, per inciso, soccorre ben più degli operai), preme il centro-destra, e incalza la scadenza elettorale. Non sbilanciarsi è fatalmente impossibile, tuttavia i rischi - a farlo - esistono eccome. Il premier fa balenare il veto per impedire che i falchi moderati e il pcf lo mettano in minoranza domani all'Assemblée Nationale, ma, insieme, temendo l'esplosione contadina, una rivolta che farebbe impallidire quella estiva dei «routiers». La sua condiscendenza, nondimeno, è pericolosa: a cavalcare la tigre si finisce talora disarcionati. Bérégovoy si esibisce in due rodei, quello francese e quello europeo. Per aggiudicarsi entrambe le vittorie gli occorrerebbe un colpo di fortuna, più circostanze oggi inimmaginabili. Per meglio spronarlo, il mondo rurale affila le armi. Ieri mattina i contadini hanno occupato una fabbrica di Coca-Cola lungo l'autostrada Parigi-Lione. Lavoro sospeso, polizia in assetto di guerra. Per fortuna, nessuna violenza. Ma il portavoce della Federazione giovani agricoltori rilancia l'iniziativa: «Bisogna colpire gli interessi Usa in Francia» dice, echeggiando una terminologia alla Gheddafi. La Fnsea, l'organismo maggioritario nella categoria, invoca «azioni puntuali, decise». Per esempio i roghi di paglia e copertoni moltiplicatisi nelle ultime 24 ore. Obiettivo principale le prefettu¬ re, ma ne ha fatto le spese anche una residenza campestre dell'ex ministro all'Agricoltura Louis Mermaz: scritte spray sui muri e danni vari. Ma sono due i rendez-vous che più innervosiscono il governo: una immensa manifestazione a Strasburgo, il 1° dicembre, con lavoratori in arrivo dall'intera Europa e la marcia su Parigi in programma domani. La Camera verrà cinta d'assedio per espugnare a Bérégovoy la promessa: non vi saranno cessioni. «Veto» è l'unica parola che vogliono sentire le campagne. Anche gollisti, pcf e in minor misura i giscardiani agitano lo stesso vessillo. Come se un pronunciamento negativo risolves¬ se per miracolo la questione, anziché riaprirla. Bére chiede «unità e misura» al Paese, ma per ottenere la prima in Parlamento dovrà sacrificare la seconda. Domenica ha chiesto la fiducia. Non accadeva dal governo Rocard. All'epoca Palais Bourbon discuteva un'altra guerra, quella del Golfo. La metafora bellica ricorre per altro tra i protagonisti. Il leader rpr Jacques Chirac evoca una «Monaco '38 versione agricola», in cui Bush è Hitler, John Major Lord Chamberlain, ma De Gaulle sembra aver già sostituito Daladier. Il governo non riprende in pieno la metafora, però l'espressione che impiega - «una grave minaccia» - rientra nel medesimo frasario. L'altra sera in tv Bérégovoy è apparso nervoso oltremisura zittendo l'intervistatore, oltre a intercalare senza sosta un «nevvero?» autorassicuratorio. Dopo averlo lasciato solo nel gestire la crisi, Frangois Mitterrand lo abbondonerà fra poche ore: un viaggio in Israele, forse provvidenziale, lo impegna nei prossimi giorni. Per tirarsi su il morale, la diplomazia francese intensifica i sondaggi con i partner cercando di trovare comprensione ai loro occhi. Ma è l'appoggio sulla linea dura che, per ora, non arriva. Enrico Benedetto