Nel campo dei profughi assediati dall'odio della Nuova Germania

Nel campo dei profughi assediati dall'odio della Nuova Germania REPORTAGE LA CAPITALE DELL'EX DDR Nel campo dei profughi assediati dall'odio della Nuova Germania COTTBUS i ICE di essere arrivato da tre giorni. Ha passato la frontiera più a Sud, verso Guben, ha pagato «l'organizzazione polacca con tutto quel che avevo», cinquanta dollari ottenuti dopo cambi multipli e incrociati. In Romania faceva il cameriere, adesso spera nei cinquecento marchi al mese che lo Stato tedesco riconosce a tutti gli «Asylanten», qui, ma parla con invidia dei «mille marchi che si prendono nei centri di raccolta all'Ovest». In Romania ha lasciato la famiglia, tre figli fra i sei mesi e i cinque anni. Da tre giorni aspetta qui, dice di potere aspettare mesi, «finché riuscirò a entrare». Dall'altra parte del cancello sorvegliato dagli uomini di una agenzia privata (la polizia arriva soltanto verso sera, quando si radunano le bande di giovani pronti a buttar molotov e pietre) la gente è raccolta a gruppi. Neri d'Africa, jugoslavi, bulgari, molti bambini, volti asiatici, qualcuno è qui da un anno. Sono gli ((Asylanten» del maggior centro di raccolta della zona, Sachsendorf, il sobborgo dormitorio di Cottbus, nel Brandeburgo: mille persone arrivate da 23 Paesi. Abitano le otto palazzine tutte uguali che, prima della Svolta, alloggiavano gli ufficiali dell'Armata Rossa, prefabbricati dall'intonaco sfiorito, i balconi ricavati a nicchia, le porte a vetri subito sconnesse. La guarnigione è accanto, una caserma enorme sparsa nella foresta di pinastri: da oltre un anno è vuota, il sorvegliante non esce dalla roulotte che gli fa da casa, accanto a lui un pastore alsaziano nero, gigantesco e vigile. Tutto intorno al «campo», fuori, ci si muove fra piccole dune di fango lasciate dalla pioggia, voci che si chiamano, una musica araba, sporcizia, grida: chi è venuto in auto, «Dacia» romene arrugginite e senza targa, ne ha fatto la sua casa provvisoria, le camicie appese ai finestrini, piatti e bicchieri sui sedili. Gli altri, zingari soprattutto, sono seduti a terra: centocinquanta o duecento persone, ma di «illegali» ne arrivano ogni notte, il mese scorso 3300 in tutta la regione. Poi, un trambusto alla guardiola: qualcuno vuole portare un televisore dentro ma gli dicono che non si può. Grida che è peggio di essere in prigione, ma i sorveglianti insistono. Più tardi, spiegheranno che è per via dei furti: in un altro Centro nella zona - uno dei trentasei della provincia di Cottbus - hanno trovato oggetti rubati per dodicimila marchi, radio e tv, giradischi, «un po' di tutto». Una scoperta che ha scatenato la popolazione già in allarme, il retroterra comprensivo delle bande di estremisti: «Capita spesso che i tedeschi non capiscano le abitudini di vita di queste persone, specie gli zingari. Per questo la tensione sale», dice il portavoce della polizia. Basta fermarsi a Cottbus sulla Altmarkt - la vecchia piazza del mercato che i Sòrabi, la minoranza storica della regione, chiamano Stare Wiki - per averne una conferma. Davanti alla Farmacia Loewen e allo studio fotografico Goethe la gente spiega perché ha paura, come nasce la sua rabbia. Sono persone uscite da quarantanni di regime, cresciute «di qua dal Muro», e si sentono aggredite da tutto, dopo la «grande frana». Per molti, gli «Asylanten» sono il risultato della Svolta: «Dopo trent'anni al servizio dello Stato sono in pensione anticipata, mille marchi al mese scarsi e tutto sulle spalle», dice un ex autista. Una donna di mezza età: «Non ce l'ho con gli stranieri, ce l'ho con questi qui: jugoslavi, romeni e zingari prendono soldi dallo Stato ma arrivano in città e continuano a rubare. E poi guardate quanto chiasso, sono sporchi, aprono i bidoni dell'immondizia per cercarvi chissà che». E' il risveglio brusco di una ex città modello, coccolata dal governo comunista per le sue industrie tessili e le miniere di lignite a cielo aperto, e guardata con sospetto dai vicini quando, al tempo della Svolta, si unì con un mese di ritardo alle manifestazioni contro il regime. A Lipsia e Dresda, per mesi ci si rifiutò perfino di vendere benzina a chi aveva la targa Cottbus, considerata «un posto di collaborazionisti». Ma quelle rivalità sono lontane, tutto l'Est è aggredito adesso dallo stesso germe, che lascia tracce differenti ma si espande. Come Lipsia e Dresda, anche Cottbus oggi fa i conti con una inquietante banalizzazione dell'estremismo, la sua inserzione nella vita quotidiana, l'assunzione inconsapevole dei principi della nuova destra radicale. Una espansione che fra i giovani può diventare incendio, e che ha costretto il preside di un istituto superiore, Frank Schimanski, a chiedere una tregua, a stringere un patto col «gerarca nero» della città perché risparmi la sua scuola. Nonostante un tasso di disoccupazione più basso che altrove - il 9,6 per cento che colpisce soprattutto le donne ma risparmia i giovani al di sotto dei vent'anni (2,7 per cento) le sue strade hanno cominciato, dunque, a coprirsi di graffiti e scritte contro gli Asylanten. Un po' alla volta dalla scorsa primavera, quando già tutte le aziende erano state privatizzate. Ma, riconoscono in Comune, «la nostra gente non era culturalmente pronta a vivere con gli stranieri». «Prima», di qui si andava al massimo in Cecoslovacchia per qualche viaggio premio. E in città arrivavano soltanto piloti sovietici per riposarsi dopo le missioni in Afghanistan, gente che faceva gruppo a sé e non parlava con nessuno, e qualche tecnico polacco impiegato al Kombinat tessile, ben pagato. Il flusso disordinato di «Asylanten» poveri e straccioni ha rotto l'illusione della tolleranza facile, ha distrutto l'artificio della «società multiculturale» che il regime accreditava all'estero. E' rimasta gente sconcertata, impaurita, delusa, appesa ancora a quel passato. Come quest'uomo di forse sessantanni, ex funzionario pubblico: «Sono di una generazione che non serve più, mi sembra di non aver fatto niente per quarant'anni. A chi viene a cercare asilo direi che non è posto, questo. Abbiamo in corpo trorjpa rabbia». [e. n.l Zingari che frugano nei rifiuti e romeni che vivono in auto Un gruppo di Asylanten e il Cancelliere Helmut Kohl

Persone citate: Frank Schimanski, Goethe, Helmut Kohl, Wiki