Cara Liguria, prima del turismo di massa eri così

Cara Liguria, prima del turismo di massa eri così Enrico Paulucci in una sequenza di guazzi esposti a Rapallo evoca ambienti e personaggi tra 1928 e 1948 Cara Liguria, prima del turismo di massa eri così Natura quasi incontaminata e inquietudine per un equilibrio che sta per spezzarsi E RAPALLO NRICO Paulucci è stato per Rapallo quello che fu Francesco Guardi per Venezia prima degli austriaci)) ha scritto Giulio Carlo Argan nell'introduzione alla mostra dell'artista, aperta fino al 13 (dicembre nell'Antico Castello sul friare, a cura di Federico Riccio con scritti in catalogo di Giorgio Calcagno e Nico Orengo. Il novantunenne pittore genovese, torinese d'adozione, espone trenjtasei bellissimi guazzi compresi [ìegli anni tra il 1928 e il 1948, ispirati ai luoghi amati e famosi pel Golfo del Tigullio: giardini, spiagge, moli di Santa Margherita, Portofino, Rapallo così com'erano un tempo, quando il turismo di massa era sconosciuto a queste terre d'elezione, non anbora deturpate da un'edilizia straripante. j La prima serie dei guazzi, datati tra il 1928 e il 1931, appartiene al periodo in cui Paulucci faceva parte del gruppo dei «Sei Pittori di Torino» con Boswell, Chessa, Galante, Levi e Menzio: una pattuglia di giovani artisti d'avanguardia che intendevano rinnovare l'arte italiana dopo l'iniziativa del Novecento, volgendosi verso la pittura francese postimpressionista ricca di immediatezza e di sensibilità coloristica: quello che Venturi e Persico definivano come un «gusto moderno e europeo» in alternativa alla pittura del periodo retorica e oratoria, o metafisica e primitivista. A Paulucci è straordinariamente consona la tecnica veloce del guazzo, che restituisce la pittura di sensazione, legata all'ambiente e alla vita dell'uomo che dalla natura trae conoscenza: mare, cielo, insenature incantate, dorate terrazze del Kursaal con figure a macchia, e soprattutto luminosità espansa, raggrumantesi sulle vele, sulle palme, sulle carrozzelle, sul lastri- cato delle piazze. «Di quel Paradiso - che si chiamava Rapallo Paulucci è stato il poeta, e anche il pittore, con la sua tavolozza. Ne ha salvato i colori, i personaggi, gli ambienti... ne ha salvato, nel profondo, l'anima» scrive Calcagno in catalogo, cogliendo quello struggimento che ci assale di fronte a opere che rappresentano luoghi perduti, ormai solo di memoria. «Una pittura di trasparenza del malessere» scrive Orengo, che vede in questi guazzi «un equilibrio sul punto di spezzarsi, che ombrelloni e palme, ma soprattutto i corpi delle donne, sembrano avvertire». Una sottile inquietudine, che insidia la trionfante bellezza di una natura allora quasi incontamiata, dove la cultura si sposava con il riposo al mare: Rapallo estiva alla fine degli Anni Venti era un luogo di ritrovo di intellettuali e artisti, con il referente nella villa di Riccardo Gualino nella vicina Sestri Levante, insieme a Lionello Venturi, Gigi Chessa e Mario Soldati. Paulucci aveva messo da parte due lauree, in Economia e Giurisprudenza, per dipingere; dal 1927 iniziano i suoi scritti di critica d'arte, sull'architettura razionalista europea, la progettazione dì arredi, e l'attività di scenografo. D'estate, sempre, la lunga vacanza a Rapallo e la gioia di dipingere l'amata costa ligure: anche nel periodo espressionista degli Anni Cinquanta, o astratto degli Anni Settanta e fino a oggi, permangono le notazioni fresche e rapide, i sapienti accordi luminosi di colore e soprattutto il rapporto epifanico con la natura, quale ci viene restituito in questa bella mostra. Mirella Bandini Paulucci: «Rapallo, il Castello, le Clarisse» (1948)