ARBORE canta Napoli e batte Bossi

ARBORE canta Napoli e batte Bossi «Va bene riscoprire le radici, ma la musica insegna a superare le frontiere: oggi trionfa il sound del Golfo» ARBORE canta Napoli e batte Bossi RENZO Arbore non ha dubbi: «La politica non è spettacolo. Ma incomincia a passare per lo spet— tacolo. Prima o poi avremo anche noi un Presidente o un primo ministro che esce direttamente da un video o dallo schermo di una sala cinematografica, come è successo con Reagan. Non voglio dire che sarà un premier di destra o conservatore. Ma piuttosto che il palcoscenico finirà col partorire il nuovo vir politicus. Non necessariamente Funari o quelli di Samarcanda. Però guardate Martelli: ha alzato la testa appena lo stesso Funari l'ha portato davvero in tv». E' un Arbore inatteso quello che parla. Una sorta di De Rita del canone, che da un osservatorio diverso dal solito Censis e più vicino all'occhio gelido di una telecamera, tiene in mano il polso di quest'Italia febbricitante. Portatile in mano, si aggira inquieto percorrendo sentieri di carta, in mezzo a tonnellate di libri («Amo solo i saggisti, Bocca, Pansa, Vene, Petacco, Biagi, tanto per intenderci: quelli che raccontano la realtà, leggo con difficoltà la narrativa di fantasia»). In mezzo a tonnellate di giornali, di riviste («Sono abbonato a tutto e al contrario di tutto: quello che mi manca lo prendo a pacchi dal giornalaio»), e a tonnellate di dischi, naturalmente... Arbore, ma ne è sicuro? «Certo. La televisione è un termometro. Viviamo tra i cascami degli Anni 80, fatti di paillette e di quiz inutili, e gli annunci degli Anni 90 dove si incomincia a intravedere più meditazione. Non solo con Avanzi, ma persino con Chiambretti». Il che, tuttavia, non è ancora decisivo per dire che si è imboccata un'altra strada. «I decenni incominciano negli anni 3 e 4.1 Beatles, e quello che hanno rappresentato per il costume, sono iniziati nel '63-'64 e hanno demolito un mondo fatto solo di strilli e di ye-ye. E il rock and roll? Anni 53-54, ricorda? Prima c'era soltanto un universo di mamme che imbiancavano e di colombe che volavano». Cabila, Arbore-De Rita: queste, come dice il poeta, sono solo canzonette... «Non mi stupirei se succedesse che le facce dei politici fossero, di qui a breve, completamente cancellate. E che emergessero categorie nuove a popolare il Parlamento. Che so: manager, tecnici, attori, cantanti. Gente che non ha mai partecipato prima alla gara. Outsider usciti dal ghetto in cui erano tenuti. Guardi me: sto parlando con lei di cose che nessuno prima si era mai sognato di chiedermi. Ma torniamo a Funari: è arrivato a un passo. Giungerà presto il momento per i personaggi che davvero vuole la gente...». E' una candidatura? «Per carità. E' solo per dire che, fino a qualche tempo fa, uno prendeva il giornale in mano e saltava a pie pari le pagine della politica. Oggi non è più così. Sarà a causa dei giudici, della Lega... Non so, non sono io a doverlo dire. Fatto sta che c'è una riscoperta degli antichi valori, dell'onestà, della libertà, del buon gusto, persino della patria, della coscienza nazionale...». Ma come la mettiamo con la Lega? «Analizziamolo bene, questo fenomeno-Lega. Partendo naturalmente dalla musica, che è il campo delle mie certezze. C'è, in tutto il mondo, una tendenza a riscoprire le radici: il rock è in crisi, il jazz sembra aver esaurito la sua creatività e la musica cosiddetta commerciale ha ormai raggiunto con Madonna il massimo del consumismo creato in laboratorio. E allora la gente sente il desiderio di tornare alle vecchie certezze, a ciò che la pubblicità chiama, per esempio, "antiche gelaterie del corso" o "mulini bianchi". Sente il bisogno, in altre parole, di riandare alle origini». Sia più chiaro. «La musica oggi non ne può più e riscopre le etnie. E' merito dei giovani. I Gipsy King, tanto per fare un nome. Suoni gitani, memorie zingare. I Neville Brothers, le Negresses vertes... Gli Stati Uniti (come in parte la Francia) sono un laboratorio etnico incredibile: ogni piccolo buco ha radici che un tempo rimanevano legate alla terra in cui affondavano. Oggi invece si diramano dal giardino di casa per diventare giardino nazionale. Hanno nomi fortemente locali come Tex-Mex, Cajun, salgono soprattutto dal Sud, da New Orleans, dalla Louisiana, dal Mis¬ sissippi. E conquistano il Paese». In che senso è merito dei giovani? «Ci pensi: ai nostri tempi cosa facevamo? Noi ci sceglievamo le nostre musiche e i nostri padri (i matusa, ndr) le loro. I ragazzi di oggi, al contrario, mettono inbieme Paoli, Conte, Beatles e Battisti e sanno a memoria tutte le parole che cantavamo noi. Vuol dire che loro sanno scegliere: buttano via quella mondezza che noi invece ci tenevamo ben stretta. Significa che la società sta cambiando». Fin qui, sembra di capire che Arbore apprezzi la Lega- «Limitatamente ai concetti di etnia, origini e radici. Quel che non quadra è invece quella strana voglia di separarsi ammantata da federalismo, di fare cioè esattamente l'opposto di quel che ci sta insegnando la musica. Sono antistorici. Le good vibrations inventate dai Beach Boys sono buone ovunque, non conoscono frontiere, saltano al volo il "muro d'Ancona" di Ferrini. I leghisti non si rendono conto che, in questo momento, Napoli sta già sconfiggendo Bossi?». E come? «Con la riscoperta della musica del Golfo, ad esempio. Con Paolo Conte, che s'è messo a scrivere in napoletano Ma si t'a vò scurdà e altre cose che canta persino Murolo. Con i Pooh, che stanno per registrare la loro prima canzone napoletana. Con Dalla, che ha già al suo attivo un fantastico Caruso e duetta Addio mia bella Napoli con De Gregori. Con Baglioni, che strizza l'occhio a Reginetta. Con Mia Martini, che abbandona appena può il repertorio italiano e si "trasforma" in napoletana. E, "last but non least", con un certo Arbore secondo nella Hit Parade con la sua Napoli, punto a capo». La Lega sommersa dalla «napolitan wave»? «Sì, e sarà un'onda lunga. Uscirà dal suo piccolo lago per inondare tutto il Paese, come in America. Tra breve Valentina Stella, Lina Sastri, Teresa De Sio, Francesca Schiavo, Consiglia Licciardi e Pietra Montecorvino potrebbero diventare vere star nazionali, unificanti. Patrimonio di una cultura unica che va ben al di là della musica». Arbore, è proprio sicuro che la riscoperta delle etnie, invece di dividerci, ci unirà? «Sono un ottimista nato. I leghisti razzolano bene, ma predicano male. Però hanno dato uno scossone: la situazione era stagnante, i politici sempre uguali, la politica l'unica professione di tutti. Perché quella notte delle elezioni americane ci ha fatto così bene? Perché, per la prima volta, ci siamo resi conto che se uno perde passa la ramazza. E lo sconfitto, per vivere, è costretto a tornare alla sua antica professione. Se era avvocato, torna a fare l'avvocato. Non può parcheggiarsi nei partiti come si fa da noi». Di presidenziali Usa ne abbiamo viste parecchie, però. «Prima della Lega questa ovvietà sembrava solo un sogno irraggiungibile. Ora invece ci riguarda da vicino. In questo è cambiata, o sta cambiando, la nostra società: adesso sa che una notte può spazzare via tutto. Che anche noi, in breve, arriveremo all'alternanza: due o tre schieramenti, ora governa l'uno, ora governa all'altro. E ciascuno con una professione di riserva: quella vera». Basta, quindi, anche con i piagnistei del Sud... «L'ho già detto. C'è una forte ripresa giovanile, soprattutto nelle regioni di mafia e camorra. Si riscoprono i valori antichi, la solidarietà. C'è gente che, dei propri guai, non dà più la colpa a Roma. Ma si assume le sue responsabilità. Se Falcone lo uccidono lì, è perché lì lo possono ammazzare. E questa, le assicuro, non è colpa dello Stato. Ma del cittadino». Grazie, De Rita-Arbore. Sperando naturalmente che tutti "quelli della notte" vengano finalmente alla luce. Non solo lui. Piero Soria campo delle mie certezze. C'è, in tutto il mondo, una tendenza a riscoprire le radici: il rock è in crisi, il jazz sembra aver esaurito la cui affondavano. Oggi invece si diramano dal giardino di casa per diventare giardino nazionale. Hanno nomi fortemente locali come Tex-Mex, Cajun, salgono soprattutto dal Sud, da New Orleans, dalla Louisiana, dal Mis¬ buttano via quellche noi invece ci testretta. Significa chsta cambiando». Fin qui, sembrche Arbore appga- «Limitatamente aietnia, origini e radnon quadra è invecna voglia di separarta da federalismo,esattamente l'oppche ci sta insegnanSono antistorici. Ltions inventate dasono buone ovunqscono frontiere, sal"muro d'Ancona" dghisti non si rendoin questo momentgià sconfiggendo BE come? «Con la riscoperta del Golfo, ad esemp