La preghiera di Sofia nell'inferno somalo

La preghiera di Sofia nell'inferno somalo La Loren in missione speciale per l'Onu La preghiera di Sofia nell'inferno somalo «Che gli angeli vengano a prendere questa gente e la portino in paradiso» BAIDOA. «Le immagini che ho visto qui sono atroci, non potrò dimenticarle mai più. Ma io credo in Dio e prego perché, come in una poesia di Salvatore Di Giacomo, tutti questi derelitti in un certo momento vengano messi insieme, raccolti da angeli custodi e portati in paradiso». Sofia Loren, ambasciatrice «di buona volontà» in Somalia dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), ha appena visitato un ospedale e un centro nutrizionale a Baidoa, nella zona che gli italiani definivano un tempo «la Svizzera della Somalia» e che ora è la città somala nella quale la carestia e la guerra civile hanno provocato il più alto numero di morti nell'ultimo anno. Per tutto il volo verso la Somalia e durante la visita nella città Sofia subisce senza un attimo di fastidio l'assedio di fotografi e operatori tv (per salire sull'Antonov delle African Airlines noleggiato dall'Unhcr, fino al momento della partenza si erano contesi il posto 41 giornalisti). Nell'ospedale dell'International medicai corps (Ime) e nel centro nutrizionale dell'organizzazione umanitaria irlandese «Concern», Sofia non fa una carezza, un sorriso che non sia implacabilmente inquadrato dagli obiettivi delle macchine fotografiche. Momento di commozione quando prende in braccio un bambino di cinque anni, Aliò, lo bacia e gli avvicina alla bocca un dolce. Il bimbo è felicissimo, dà un morso e comincia uno scambio di sorrisi con la sua madrina, che lo adotta temporaneamente per portarselo in giro nelle altre stanze dell'ospedale, seguita dalla sua segretaria preoccupata e da un medico somalo che vorrebbe che alla illustre ospite non rimanesse un ricordo poco piacevole: molti bambini sono curati più per malattie della pelle che per malnutrizione (le cose sono assai migliorate da agosto). Sofia si avvicina poi ad un gruppo di madri sedute sotto una grande bougainville rossa nel cortile dell'ospedale per parlare con loro. Ma Aliò non la lascia in pace (forse ha imparato dai fotografi): le si aggrappa ai pantaloni, le sale sulle ginocchia, le ruba gli occhiali. Lei lo aiuta ad inforcarli, gli gira il visino verso i fotografi e lo guarda, sorridendo anche lei come uno di quegli angeli custodi delle poesie di Di Giacomo. «Ma come fa a sopportare quest'assedio costante? Non finisce col darle noia?» le chiede qualcuno del seguito. «Sono molto tollerante» risponde Sofia, mentre accetta l'ennesima richiesta di posare con due donne somale i cui abiti multicolori hanno attirato l'attenzione degli operatori, come se una nota di allegria fosse indispensabile prima di lasciare Baidoa, i cui sessantamila abitanti sembrano vivere un momento migliore di qualche mese fa. Da un po' di tempo, in città si spara di meno. Si ricomincia a lavorare nei campi, perché sono state distribuite sementi, come fa sapere ai giornalisti il direttore del progetto agricolo di «Concern», Michel O'Reilly. «E poiché sta piovendo, pensiamo di avere presto un buon raccolto» aggiunge. I bambini dell'orfanotrofio della Mezzaluna Rossa, ultima tappa della visita di Sofia a Baidoa, non lo sanno e non lo immaginano. Ma il loro saluto all' attrice italiana è festoso, quasi allegro. Non hanno malattie gravi, sono nutriti regolarmente e «Concern» sta elaborando un programma perché siano affidati a parenti oppure adottati. Per questo, uno dei soccorritori chiede anche la pubblicità sulla stampa internazionale. Per adesso, almeno i bambini di questo orfanotrofio non hanno fretta di andare in paradiso. [Ansai Sophia Loren è in Somalia

Persone citate: African, Antonov, Di Giacomo, Loren, Mezzaluna, Michel O'reilly, Salvatore Di Giacomo, Sofia Loren, Sophia Loren