Juve, passa il treno di Rampulla di Marco Ansaldo
Juve, passa il treno di Rampulla Juve, passa il treno di Rampulla «La fama per un gol fatto, non per quelli parati» TORINO. Nuove mani e vecchi guanti per un derby che non si gioca soltanto sull'assenza degli uomini gol. Il Trap cambia portiere. Non per scelta, come Sacchi a Glasgow, ma per necessità. Peruzzi è squalificato, arriva il momento di Michelangelo Rampulla, un nome impegnativo e una carriera ovattata nella Padania: Varese, Cesena, Cremona (con Mondonico allenatore), dove il treno per il grande calcio passa un paio di volte nella vita. Lui a trent'anni stava ancora sotto la pensilina, l'immagine di un enfant prodige che aveva perso le occasioni per confermare quello che, appena maggiorenne, gli pronosticavano in molti. «Tu non sei uno qualunque. Se ti impegni diventerai forte come Zoff», gli dicevano. Zoff era nei suoi miti di ragazzo cresciuto in Sicilia, dove la Juve sembrava irraggiungibile quanto la luna, ma più splendente. «Io - racconta Rampulla l'avevo toccata poche volte dal vivo, quando il Palermo era in A e si partiva da Patti per vederla. Finché a sedici anni presi un treno per arrivare a Torino: JuveBruges, semifinale di Coppa dei Campioni. Fu un sogno». Domani invece sarà un lavoro, e duro. Estrarrà dall'armadietto un paio di scarpe vecchie e di guanti un Michelangelo Rampulla, all'esordio nel derby contro il Toro difende il rivale Marchegiani: «Non meritava l'esclusione a Glasgow. Sacchi è stato ingeneroso» po' consunti. «Non rischio mai qualcosa di nuovo. Più che una scaramazia è un fatto tecnico», spiega, confidando che questo derby così atteso quando era un tifoso di Patti, oggi gli sembra una partita uguale ad altre. Anche se in carriera non ne ha giocate di più importanti. «Le occasioni per affrancarmi dalla provincia mi sono scivolate via - ricorda -. Nel)'83, ad esempio, mi sentivo già dell'Inter, che voleva sostituire Bordon: era tutto fatto, invece cambiarono idea e diedero fiducia a Zenga. Finii a Cesena, senza sapere perché. E commisi lo sbaglio di sedermi. Non avevo stimoli e non è stato facile ricostruirrm». Invidie? «Nessuna e neppure rimpianti anche se sono cresciuto in un periodo in cui la grandi squadre non credevano nei portieri giovani. Oggi invece a trent'anni si è già vecchi». Parlandogli, si capisce che la Juve può fidarsi. Rampulla ha una visione nitida della vita e della porta, non è un pivello e neppure una vecchia marmitta rigenerata e assuefatta alla panchina. «Non mi sono mai sentito una riserva - dice -, io sono uno del gruppo e non gioco moltissimo perché divido il posto con il miglior portiere itahano, Peruzzi. Quel ragazzo mi piace, è straordinario, ha qualcosa più degli altri: è esplosivo senza essere plateale. Marchegiani invece mi assomiglia, è un portiere classico. Per me è fortissimo, anche più di Pagliuca e di Ferron, che gli metterei alle spalle nella classifica dei più bravi». Allora Sacchi a Glasgow non ha capito nulla? «Al posto di Marchegiani avrei paura di non disporre di un'altra possibilità per far vedere che i miei errori sono stati un caso. Lui a Cagliari ha sbagliato due volte, ma non si può finire fuori senza avere una chance di riscatto». Ma Sacchi ha spiegato che non voleva esporre Marchegiani al rischio di un altro mezzo fallimento per non perderlo del tutto. «Invece adesso l'ha perso completamente. Un portiere ha una psicologia particolare, lavora di testa più che di muscoli. Un centrocampista può convincere l'allenatore sfiancandosi nel pressing, noi possiamo soltanto aspettare che arrivi un tiro parabile». La solitudine del portiere, come la definisce Zoff. A meno che uno non si scuota e inventi una pazzia. In Rampulla la scintilla folle si accese una domenica dell'anno scorso. La Cremonese perdeva a Bergamo. All'ultimo minuto lui abbandonò la porta e si proiettò in avanti: dopo dodici anni decise che non era più il tempo di indugiare. Che fossero gli altri, per una volta, ad aspettare il suo tiro. Segnò e quel gesto insolito, ne fece per la prima volta un protagonista. Interviste importanti, la tv. Ci si tornò ad occupare di lui. In estate lo avrebbe voluto la Lazio, lo prese la Juve. «E' curioso che ti trovino bravo perché hai fatto un gol e non perché ne hai salvati tanti. Anche questa è una regola che vale per chi sta in provincia: si fa come l'uomo che morde il cane. Da allora non ho più cercato di segnare e non ci proverò neppure nel derby. La sensazione dopo un gol è magnifica, però un portiere può riuscirci una volta sola nella vita. E qui ci sono attaccanti più bravi di me». Marco Ansaldo
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