Sequestro Celadon, preso il «cervello»

Sequestro Celadon, preso il «cervello» Condannato a 30 anni e scarcerato per un errore procedurale, si era dato alla latitanza Sequestro Celadon, preso il «cervello» Morabito bloccato a Torino, stava dormendo in auto TORINO. L'auto blu metallizzata era ferma nel posteggio di un supermercato di San Mauro, appena fuori città. A bordo due persone, i sedili reclinati. Stavano riposando. Gli agenti della squadra Mobile hanno bussato ai vetri: «Per favore i documen ti». Lui ha preso il portafogli dalla giacca marrone. E con il sorriso sulle labbra ha consegnato la carta d'identità: «Sono Leo Carteri, 33 anni, abito a Bova Marina; sapete dov'è?». Anche il sottufficiale ha sorriso: «Conosco bene la Calabria, sono di quelle parti; ma forse conosco anche lei». Così, in quello che è sembrato un banale controllo ma che era l'ultimo atto di mesi di indagini, è stato catturato Mario Leo Morabito, 36 anni, latitante dall'aprile 1991. Condannato in primo e secondo grado a 30 anni di carcere, è uno dei rapitori di Carlo Celadon, studente vicentino, 20 anni: 830 giorni in catene, 27 mesi di paure; per la sua liberazione (avvenuta nel maggio '90) la famiglia pagò 5 mibardi. Morabito era stato scarcerato nell'aprile '91 grazie ad un'eccezione di nullità sollevata dai difensori. Svenuto durante un'udienza era ricorso alle cure dei medici. Ma fuori dall'aula. Il giorno successivo, a norma di codice, avrebbe dovuto essere convocato con un atto formale di citazione: foglio in marca da bollo consegnato a mano dall'ufficiale giudiziario. Morabito fu invece semplicemente tradotto dal carcere con gli altri imputati. Nessuno si accorse dell'errore e solo dopo la sentenza i difensori impugnarono quel cavillo procedurale che portò poi alla sua scarcerazione per decorrenza dei termini. Dopo due mesi il processso d'appello. I giudici confermarono la condanna di primo grado: 30 anni di carcere. Ma oramai Morabito aveva fatto perdere le sue tracce. Da quel giorno è stata tesa una rete in tutta Italia. Le forze dell'ordine hanno tenuto sotto controllo parenti, amici, conoscenti. «Non si fida più di nessuno, neppure dei compagni di cosca; solo della famiglia», confidò qualcuno. A Torino abita una sorella, Annunziata, che ha sposato Francesco Sagolea, anche lui condannato per il sequestro Ce- ladon. «Quella donna è pedinata da mesi», ammette ore il vicequestore Salvatore Longo. Era un'esca. «Un giorno Mario Leo Morabito si farà vivo», si disse. I poliziotti lo avevano già atteso per il matrimonio della primogenita di Annunziata Morabito, andata in sposa a Luigi Catania, 30 anni, pregiudicato, in libertà vigilata. Quel giorno Morabito non si fece vedere a Torino. Ma mandò un ricco regalo alla giovane nipote. Poi un errore. Lo scorso marzo (in latitanza) si è lasciato avvicinare da una troupe televisiva della Rai di «Detto tra noi». Accettò di parlare ma senza essere inquadrato. Era un'ombra. Ma il controluce ha evidenziato ancor più un suo tic nervoso alle mani: un continuo correre del pollice sulle altre dita, quasi contasse del denaro. «Un particolare che ci ha colpiti quando lo abbiamo fermato», dice un funzionario della Mobile, Sergio Molino. Nei giorni scorsi qualcosa ha messo all'erta gb agenti. Forse una intercettazione telefonica. Nessimo lo dice. Morabito dove¬ va venire a Torino per incontrare un parente. E' arrivato giovedì pomeriggio su una Polo blu targata Roma. Alla guida c'era il nipote Francesco, 25 anni, contitolare di un bar in via Marziale 23, a Roma. Il lungo viaggio in autostrada, poi la sosta nel posteggio del supermercato di periferia. Lì doveva avvenire l'abbraccio con i parenti. Gli agenti lo hanno anticipato. In questura Morabito ha continuato a ripetere: «Sono Carteri Leo». Vero D documento, Carteri è pregiudicato per armi. Lui sembrava sicuro. Davvero impossibile riconoscerlo: il volto è oggi molto diverso da quello fermato sulle foto del processo, solo due anni fa. Quel tic alle mani è stato colto da un sottufficiale. Quando si è visto smascherato attraverso le impronte digitali, si è messo ad urlare: «Di notte sento il diavolo che mi parla». E poi, fissando negli occhi ogni persona: «Voi mi avete rubato la vita». Così, fino a quando non lo hanno portato in carcere. Ezio Mascarino Aveva documenti falsi I poliziotti seguivano parenti e amici Era stato anche in tv Sotto a destra, Mario Leo Morabito, il latitante calabrese catturato a San Mauro, mentre viene portato in questura a Torino. Qui di fianco, lo studente vicentino Carlo Celadon, rapito agli inizi dell'88 e liberato dopo 27 mesi e il pagamento di un riscatto di 5 miliardi