QUATTORDICI AL VIA

QUATTORDICI AL VIA CONCORSO QUATTORDICI AL VIA «E' l'onestà degli autori il nostro criterio di scelta» SI sa che la selezione dei film (14 nel nostro caso) per un concorso è sempre discutibile, in un certo senso «indifendibile». Nel senso che non è la scelta del meglio, effettuata secondo criteri oggettivi: l'indiscutibilmente bello non esiste. Non è neppure una rassegna dell'esistente, che presupporrebbe la possibilità di offrire un campione sufficientemente rappresentativo di quanto è stato prodotto nel corso di una stagione. Non è infine (o non dovrebbe essere) un compromesso interessato fra le ragioni degli autori e le cosiddette attese del pubblico. Piuttosto, è il frutto di una serie di scelte (sempre difficili, spesso dolorose), il risultato di una corrispondenza di amorosi sensi fra un prodotto singolare e uno spettatore privilegiato. L'onestà degli autori nei confronti delle storie e dei personaggi è uno dei primi criteri di distinzione. In questo senso, nessuno è più onesto di Cyril Collard che ne Les nuits fauves mette in gioco se stesso e la propria sieropositività, in uno slancio vitale capace di far dimenticare anche i difetti del film. E' onesto Marc Rocco che, disponendo di mezzi non indifferenti (con i suoi 4 milioni di dollari di budget, Where the Day Takes You è il film più ricco dell'intera selezione), sceglie di mettersi dalla parte dei suoi sfortunati protagonisti, sposandone pregi e difetti. Ed è più che onesto l'atteggiamento di Nigol Bezjian che in Chikpeas affronta in chiave di commedia il tema difficile dell'integrazione in una comunità di emigranti. Di Laws of Gravity (Nick Gomez) colpisce, oltre al bassissimo costo (38.000 dollari), la capacità di trasformare un «tour de force» tecnico in una scelta di stile, un partito preso formale in una questione di morale. Ciò che si ap- prezza in Under the Sun, oltre ai giovanissimi e bravissimi attori, è il suo essere un antidoto all'accademismo che domina gran parte del cinema inglese contemporaneo. Non nego che la curiosità abbia giocato un ruolo decisivo nella scelta di Shuang qi zhen Daò ke (He Ping), perché non è cosa di tutti i giorni un regista mongolo che si cimenta in un raffinato omaggio ai western di Sergio Leone, raccontando una leggenda del suo Paese. O di Shinde mo ii (Takashi Ishii), che riscrive «Il postino suona sempre due volte» con singolari spostamenti di senso. Buoni esempi di cinema «poh- tico» (non declamatorio, non didascalico) sono invece il turcoAedesco Dugun di Ismet Elei e il kazako Byegushaya Mishne di Talgat Temenov, capaci entrambi di farci appassionare a due vicende a loro modo «esemplari». Se di Gito, l'ingrat, primo film nella storia del Burundi, si apprezza la divertente vena autoironica, di Passi sulla luna impressiona l'autenticità dell'ambientazione che fornisce uno sfondo inconsueto e credibile a una vicenda di genere. Resta da dire tutto il bene possibile degli ultimi tre film: il giapponese Anonatsu ichiban shizukana unii di Takeshi Kitano, l'armeno Avetik di Don Askarian e lo spagnolo Vacas di Julio Medem. Con talento e intensità, lavorano ossessivamente su tre istanze differenti del linguaggio cinematografico: Takeshi sul «fuori campo», Askarian sull' «immagine», Medem sul «montaggio». Nei tre casi, il risultato è tale da riconciliarci, per lunghi, indimenticabiU momenti, con il piacere del cinema. Alberto Barbera Direttore del Festival Mail Dillon e firidaci Fonda in «Singles», un'immagine del turco «Dugun» e due giovani interpreti di «Under the Sun»

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