Cappuzzo: Dalla Chiesa non l'ho disarmato io di Francesco Grignetti

Cappuzzo: Dalla Chiesa non l'ho disarmato io L'EX COMANDANTE REPLICA «Intervenni perché stava invadendo il campo investigativo di altri. Rapporti difficili? Solo sul lavoro» Cappuzzo: Dalla Chiesa non l'ho disarmato io «Il suo apporto fu utilissimo, due anni dopo il terrorismo éfa sconfìtto» «Era invidiato, ma non credo che nell'Arma si arrivasse ad osteggiarlo» SROMA I', me lo ricordo bene il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa». Parla Umberto Cappuzzo, senatore de, già capo di stato maggiore dell'esercito e prima comandante generale dei carabinieri. Un «nemico» giurato del generale, secondo quanto racconta nei suoi libri il figlio, che approfittò dello scandalo P2 per metterlo in cattiva luce. «Cappuzzo insisteva per l'allontanamento di mio padre», scrive Nando Dalla Chiesa. E' vero, senatore? Lei, comandante generale, isolò il generale Dalla Chiesa che nel 1980 venne a Roma come vicecomandante? «Ma niente affatto. Parlare di isolamento è fuori luogo. Ostile, poi... Assolutamente no. Conservo ancora certe sue lettere, dal tono estremanente deferente. E le conservo perché mi pregio di essere stato suo amico». Tutto bene, dunque. Mai un contrasto? «Beh, i rapporti possono essere stati difficili, in certi momenti, ma soltanto per quanto riguarda il campo operativo». E che vuol dire in concreto? «Significa che ci furono tentativi d'invasione, da parte sua, nel territorio investigativo d'altri. E intervenni. Io credevo che la lotta al terrorismo dovesse essere corale, coinvolgendo tutta l'Arma dal Nord al Sud». E invece Dalla Chiesa non la pensava così: questo vuol dire senatore? Aveva conservato l'individualismo di quando comandava i cinquanta super-esperti dell'antiterrorismo? «Io non voglio accusare nessuno. Dico soltanto che mi impegnai perché venissero rispettate le competenze di tutti. Non ci potevano essere intromissioni in campi diversi, nell'ottica militare. E io mi impegnai ad eliminare frizioni». E' vero però che il generale aveva un carattere duro. «Guardi che a me piacciono gli uomini dal carattere dino. In ambito militare, il carattere forte è una cosa positiva. Ma l'importante era che ciascuno restasse al suo posto. Io ero il comandante e lui era un collaboratore, sia pure prezioso. E tra noi c'era una normale dialettica. Voglio dire che l'Arma non è un collegio di educande. Tantomeno un'istituzione morta, dove ci si limita a dire "signorsì". A questi livelli, c'è il diritto e il dovere di parlar chiaro. Noi ci stavamo riorganizzando per vincere sul terrorismo. L'apporto di Dalla Chiesa fu utilissimo. E i risultati arrivarono. Due anni dopo, il terrorismo delle Brigate rosse non esisteva più». Grazie ai suoi successi degli anni precedenti, però, Dalla Chiesa era molto invidiato, anche all'interno dell'Arma. Questo non può negarlo. «Che cosa rispondere? In questa nostra Italia, chiunque eccelle per suoi meriti suscita sempre gelosie. E' un malcostume nazionale. Neanche l'ambito militare ne è esente. Ma non credo che per questo si arrivasse ad osteggiarlo. E in ogni caso a me non competeva certo rinfocolare i contrasti, anzi». Eppure Dalla Chiesa, nei suoi diari, dà un'immagine ben diversa del clima che lo circondava. Il figlio arriva a scrivere che in famiglia temettero un suicidio per motivi d'onore quando esplose lo scandalo P2 e gli fu consigliato di andare m ferie e di disertare la festa dell'Arma. «Io dirò soltanto che tutto ciò mi stupisce. Non corrisponde alla realtà. Le lettere che conservo mostrano amicizia e rispetto. A meno che io non debba pensare a un doppio Dalla Chiesa: deferente con me, diverso in privato... Ma non posso crederlo. D generale era un uomo tutto d'un pezzo». Forse il figlio ce l'ha con lei per quella frase sulla moglie giovane. Lei disse: «Questo ufficiale che alla sua età sposa una giovane donna, non voleva probabilmente far pesare su di lei il suo ambiente di precauzioni... per cui avrà probabilmente ecceduto nel senso opposto». Lo direbbe ancora? «Io non volevo dire che fosse diventato uno sprovveduto. E Sciascia lo capì bene, tanto che mi difese nelle polemiche di quei giorni. Non so perché è stata inter- pretata male, quella frase. Volevo sottolineare la componente umana, lo sforzo di non rinchiudere la moglie in una fortezza. Ecco, io volevo dire che era un duro, ma profondamente umano. E mi dispiace non aver mai incontrato il giovane Dalla Chiesa. Gli avrei spiegato. Gli avrei fatto vedere le lettere di cui dicevo. Mi addolora, questa polemica, dico la verità». Però Nando, alla luce delle rivelazioni di Buscetta, sostiene che il padre è stato ucciso per via della sua fedeltà alle istituzioni e non a «certi» gruppi di potere. E per fare il nome dei nemici del padre, dice: «Certi ambienti politico-massonici con terminali nell'Arma. Il generale Cappuzzo, mostrò ostilità. In seguito, il generale è stato gratificato da Andreotti ed è diventato senatore de». E' andata così? «Assolutamente no. Guardi che io non sono stato premiato, a nessun titolo, perché non c'era nulla da premiare». Francesco Grignetti «Nella polemica sulla moglie anche Sciascia mi diede ragione» Il senatore Umberto Cappuzzo, èx comandante dei carabinieri

Luoghi citati: Italia, Roma