Finisce in cella l'impero dei Costanzo di Fabio Albanese

Finisce in cella l'impero dei Costanzo Arrestati per un maxi-appalto all'ospedale di Catania, in carcere anche 6 ex dirigenti dell'Usi Finisce in cella l'impero dei Costanzo 12 costruttori ottennero una variante nonostante i lavori non fossero finiti CATANIA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Ai tre carabinieri che, alle 6 del mattino, si sono presentati davanti al cancello della sua lussuosa villa di Capomulini, Giuseppe Costanzo ha chiesto solo di potersi fare la barba. Poi si è infilato sulla «Uno» dei militari che è scivolata fuori scortata da un'auto ufficiale dell'Arma. Il terremoto del mondo imprenditoriale catanese si è scatenato all'alba di ieri. Quasi contemporaneamente all'arresto di Pippo, 46 anni, dal lato opposto della città altri militari stringevano le manette ai polsi dello zio, Pasquale Costanzo, detto Gino, 65 anni. Due degli imprenditori più potenti della Sicilia, rispettivamente figlio e fratello del Cavaliere del Lavoro Carmelo Costanzo morto due anni fa per infarto, sono finiti in galera con l'accusa di concorso in abuso d'ufficio a scopo patrimoniale. Ironia della sorte, a firmare gli ordini di custodia cautelare il gip Luigi Russo, il giudice che due anni fa emise una clamorosa sentenza con la quale stabilì che i cavalieri del lavoro catanesi subivano la mafia per «stato di necessità». Ma la mafia, ora, sembra non entrarci. Altre sei persone, quasi tutte ex componenti del Comitato di gestione dell'Usi 36, sono state arrestate per lo stesso reato: il presidente Alfredo Bernardini, socialista, il suo vice Giovanni Cane, il direttore amministrativo Francesco Poli, altri tre componenti sino a ieri ritenuti stimati professionisti. Risulta latitante un settimo componente. Al centro dell'inchiesta, l'appalto per la costruzione di un padiglione del «Cannizzaro», un complesso ospedaliero con lavori in corso da decenni. Costo iniziale, 110 miliardi e mezzo di lire. Vincitrici dell'appalto le imprese edili «Ceap» e «Fratelli Costanzo», di proprietà degli imprenditori arrestati. I lavori del «monoblocco», secondo i termini del contratto, avrebbero dovuto essere completati entro il 10 luglio del '91, diciotto mesi dopo il loro avvio. Così almeno prevedeva l'appalto, vinto dai Costanzo proprio per la maggiore celerità, indicata nella loro offerta, per l'esecuzione dei lavori, e con penali da 280 milioni per ogni mese di ritardo. Ma in quell'afosa giornata d'estate di un anno fa, il padiglione A/4, detto «monoblocco», appariva costruito per appena il 30 per cento. Con quel contratto, per edificare il restante 70 per cento, le imprese dei Costanzo ci avrebbero rimesso di tasca una fortuna, più di 11 miliardi a quei ritmi di lavoro. Ma nulla di tutto questo accadde. A distanza di altri 16 mesi, i lavori oggi sono ancora in corso. Invece, con straordinario tempismo, nove giorni prima di quella scadenza di luglio il Comitato di gestione dell'Unità sanitaria locale 36 commissionò alle stesse due imprese la redazione di un progetto di variante nel complesso in costruzione. E il 7 agosto successivo, dopo il «sì» dell'assessorato regionale alla Sanità arrivato con eccezionale coincidenza lo stesso giorno della scadenza del contratto, la «36» approvò una variante da 19 miliardi e mezzo. Seguì un annullamento da parte della commissione provinciale di controllo, e una successiva nuova approvazione del provvedimento da parte dell'Usi, questa volta «vistato» dalla Cpc. Secondo l'inchiesta la «variante» rappresenta una sorta di prova che c'era un accordo preliminare tra le imprese «Ceap» e «Fratelli Costanzo» e gli uomini che dirigevano l'Usi. L'indagine parte dalle dichiarazioni del geometra-pentito della Rizzani-De Eccher Giuseppe Li Pera, che ha raccontato al giudice Lima come vengono gestiti gli appalti pubblici in Sicilia. Un elenco di tecniche, con tanto di esempi pratici come quello del Cannizzaro, raccolti in una mega-inchiesta successivamente suddivisa in tre tronconi e sparsa fra Catania, Caltanissetta e Palermo. Il procuratore della Repubblica Gabriele Alleata, tuttavia, ieri ha tenuto incredibilmente a precisare che quella sul «Cannizzaro» «non è un'indagine che ha a che fare con Li Pera», nonostante le evidenze. Durante la conferenza stampa, cui hanno preso parte anche il procuratore aggiunto Mario Busacca e, quasi soltanto da «testimoni», i sostituti Lima e Amato, Alleata non ha voluto fornire nessun particolare e si è limitato a leggere un foglietto con uno scarno comunicato. Non ha voluto nemmeno fare i nomi delle persone arrestate: «Li potrete leggere sul televideo», ha detto. Nonostante le parole concilianti, l'inchiesta che mette in galera due fra i più potenti di Catania non deve aver avuto un iter facile: a parte il significativo silenzio in conferenza stampa del titolare iniziale dell'inchiesta, il giudice Lima, le parole dell'aggiunto Busacca stridevano con un fatto ben evidente: «Nessun dissidio, solo dialettica fra di noi - ha precisato -. L'ordinanza di arresto è stata firmata e condivisa da tutti coloro che vi hanno lavorato». Ma sotto quel documento non c'è la firma dell'altro procuratore aggiunto, Vincenzo D'Agata; sembra per via di una conoscenza personale con alcuni degli indagati. E poi, polemiche a denti stretti anche per la conduzione del blitz, portato a termine dal nucleo di polizia giudiziaria di carabinieri, Finanza e polizia e «sottratto» ai carabinieri del Ros, che avevano lavorato all'inchiesta sin dal suo nascere: ((Anche i nostri uomini hanno fatto indagini - ha precisato Alicata -. A loro dunque il compito di arrestare gli indagati». Fabio Albanese Nella foto grande Giuseppe Costanzo (a sinistra) assieme all'ex ministro Bernini. Sotto Pasquale Costanzo, finito in carcere

Luoghi citati: Caltanissetta, Catania, Palermo, Sicilia