La musica è finita? di Armando Caruso

La musica è finita? |a Rai chiude l'orchestra di Napoli e quattro cori La musica è finita? [MILANO. Il pericolo arriva dal'Est. B flusso migratorio dei musicisti clie vogliono trovare un posto nelle orchestre italiane è forte. Ma non è soltanto una battaglia Ipll'ultima nota. E' un'invasione di nercato che coinvolge il mondo itramiliardario video-discografi:o e che travolge un'Italia debole, ncapace di affrontare una conorrenza spietata. La Rai cancella orchestra di Napoli, insieme con cori di tutte e quattro le realtà iinfoniche, salvando soltanto hielle di Torino, grazie all'«accorio strategico triennale» con la Fondazione San Paolo-Filarmonia, e di Roma, per non chiare ranoni politiche. Di Milano tace. Corrado Guerzoni, vicedirettore [enerale della Rai, si limita a una lanuta: «Non ci sarà la fusione ;on Torino». Ma che vuol dire? Il 'pverno, frattanto, taglia «solo» SO miliardi agli enti lirici in crisi, issociazioni, teatri di tradizione, pianando la strada all'agguerrita :oncorrenza d'oltralpe. Tutto mesto mentre per le sue trasmisìioni tv la Rai non bada a spese. ?er esempio una puntata di (Scommettiamo che» costa dai 500 ai 650 mUioni, «Avanzi» sui 220 milioni, «I fatti vostri» serale ita sui 110 milioni mentre quello ruotidiano va dai 35 ai 40 milioni. E intanto la grande tradizione ausicele italiana è allo sfascio, fon è mai entrata nelle scuole, ha n piede nel baratro, come la notra economia. I sindacati protetano, ma sono arroccati su posiioni vecchie, difendono realtà in eclino. Il panorama è desolante: i stianta Conservatori (i programìi si fennano a Stravinski), sono [ere fabbriche per disoccupati: 'ornano strumentisti bravi, ma fenza futuro. Milano e Roma aspettano da cento anni il loro rande auditorium. «Uno scenario mortificante DStiene il compositore e direttore rtistico dell'Arena di Verona, Losnzo Ferrerò -. A prestigio musiale italiano si riduce alla Scala, al jiaggio fiorentino, a Santa Cecia. All'estero tutto il resto è regoirmente ignorato». «In Italia la musica non fa parte ,é della cultura né della vita». E' ì triste constatazione del diretto¬ re d'orchestra Carlo Maria Giulini. Ma che succede in Europa e America? Il grande musicista ha un moto di stizza: «Berlino ha due grandi auditorium, Vienna due bellissime sale da concerto; Londra tre, di cui una recente; Toronto ha uno dei migliori auditorium del mondo; quattro grandi città giapponesi sono dotate di altrettante stupende sale; la Spagna negli ultimi 40 anni ne ha costruiti 18, tra cui il recente Nacional di Madrid. Non parliamo di New York, sede della Carnegie Hall, del Lincoln Center, dove i privati sovvenzionano tutti gli eventi artistici e lo Stato interviene solo per il 2 per cento». E in Italia? «Quand'ero ragazzo c'erano cinque conservatori a Milano, Roma, Firenze, Venezia e Napoli e vi insegnavano le prime parti delle grandi orchestre italiane. Oggi al Conservatorio di Milano ci sono 30 classi di pianoforte. Dove si trovano 30 grandi pianisti-didatti? Neppure m Europa. E ai bravi orchestrali si vieta 1 insegnamento». Ancora: «Uno spazzino a Vienna sa benissimo qual è la sede dei Philharmoniker. Provi a chiedere a Roma dov'è Santa Cecilia. La colpa, paradossalmente, è di Giuseppe Verdi che ha fatto dell'Italia la patria del melodramma, mentre si allenava a scrivere musica sinfonica per creare quel capolavoro che è il Falstaff». Interviene Lorenzo Ferrerò: «Il problema orchestre delle radiotelevisioni non è soltanto un fatto italiano. In gran parte negli Stati Uniti sono state eliminate vent'anni fa, superate dalla produzione discografica. Oggi sono un peso non solo per la Rai, ma per tutta la collettività, anche se restano un patrimonio artistico». Come uscirne? «Ci vogliono convenzioni con le realtà locali. La Spagna ha creato piccole orchestre m ogni regione, assolvendo un buon servizio di base. In Italia c'è quella regionale toscana. Ha 45 elementi e costa poco. Chi ha detto che le orchestre devono essere per forza di 95-100 professori? Si eliminino le alternanze delle prime parti, si lavori di più diminuendo i costi». Ferrerò è categorico: «C'è poi un problema di qualità. Gli stessi che piangono per la chiusura delle orchestre si oppongono al loro miglior rendimento professionale. I sindacati, con la cecità che li distingue, hanno minato l'immagine delle orchestre italiane, la loro agitazione è perenne». E degli enti lirici che dire? Tredici sono troppi? «In Germania ci sono più teatri che da noi. In Italia i teatri di tradizione svolgono un'opera importante e costano molto meno. Rovigo e Treviso, per fare un esempio, hanno un bilancio di 2 muiardb). Allora riduciamo gli enti Urici? «No. Riduciamo le spese. Non si capisce cosa stiano a fare quattro revisori dei conti in ogni teatro, se non sono in grado di arginare le stravaganze e denunciare al ministero i deficit in evoluzione». Marcello Viotti, direttore d'orchestra italiano, stabile nelle orchestre di Brema e della Farlandische Radio, presidente della Filarmonica di Torino: «Il nostro Paese è un disastro. Non si può risparmiare sulla cultura. Si abolisca il ministero Turismo e Spettacolo e si crei il dicastero della Cultura. In Germania ci sono due categorie di orchestre: una decina delle Radio per le quali paga lo Stato. Ci sono poi le orchestre raggruppate in associazioni che sono finanziate dalle singole città di appartenenza». C'è speranza per l'Italia? «Sono pessimista. Si commettono troppe nefandezze». Armando Caruso 'orchestra di Napoli e quattro cori a musica finita? j re d'orchestra Carlo Maria Giulini. Ma che succede in Europa e America? Il grande musicista ha un moto di stizza: «Berlino ha due grandi auditorium, Vienna due bellissime sale da concerto; Londra tre, di cui una recente; Toronto ha uno dei migliori auditorium del mondo; quattro grandi città giapponesi sono dotate di altrettante stupende sale; la Spagna negli ultimi 40 anni ne ha costruiti 18, tra cui il recente Nacional di Madrid. Non parliamo di New York, sede della Carnegie Hall, del Lincoln Center, dove i privati sovvenzionano tutti gli eventi artistici e lo Stato interviene solo per il 2 per cento». E in Italia? «Quand'ero ragazzo c'erano cinque conservatori a Milano, Roma, Firenze, Venezia e Napoli e vi insegnavano le prime parti delle grandi orchestre italiane. Oggi al Conservatorio di Milano ci sono 30 classi di pianoforte. Dove si trovano 30 grandi pianisti-didatti? Neppure m Europa. E ai bravi orchestrali si vieta 1 insegnamento». Ancora: «Uno spazzino a Vienna sa benissimo qual è la sede dei Philharmoniker. Provi a chiedere a Roma dov'è Santa Cecilia. La colpa, paradossalmente, è di Giuseppe Verdi che ha fatto dell'Italia la patria del melodramma, mentre si allenava a scrivere musica sinfonica per creare quel capolavoro che è il Falstaff». Interviene Lorenzo Ferrerò: «Il problema orchestre delle radiotelevisioni non è soltanto un fatto italiano. In gran parte negli Stati Uniti sono state eliminate vent'anni fa, superate dalla produzione discografica. Oggi sono un peso non solo per la Rai, ma per tutta la collettività, anche se restano un patrimonio artistico». Come uscirne? «Ci vogliono convenzioni con le realtà locali. La Spagna ha creato piccole orchestre m ogni regione, assolvendo un buon servizio di base. In Italia c'è quella regionale toscana. Ha 45 elementi e costa poco. Chi ha detto che le orchestre devono essere per forza di 95-100 professori? Si eliminino le alternanze delle prime parti, si lavori di più diminuendo i costi». Ferrerò è categorico: «C'è poi un problema di qualità. Gli stessi che piangono per la chiusura delle orchestre si oppongono al loro miglior rendimento professionale. I sindacati, con la cecità che li distingue, hanno minato l'immagine delle orchestre italiane, la loro agitazione è perenne». E degli enti lirici che dire? Tredici sono troppi? «In Germania ci sono più teatri che da noi. In Italia i teatri di tradizione svolgono un'opera importante e costano molto meno. Rovigo e Treviso, per fare un esempio, hanno un bilancio di 2 muiardb). Allora riduciamo gli enti Urici? «No. Riduciamo le spese. Non si capisce cosa stiano a fare quattro revisori dei conti in ogni teatro, se non sono in grado di arginare le stravaganze e denunciare al ministero i deficit in evoluzione». Marcello Viotti, direttore d'orchestra italiano, stabile nelle orchestre di Brema e della Farlandische Radio, presidente della Filarmonica di Torino: «Il nostro Paese è un disastro. Non si può risparmiare sulla cultura. Si abolisca il ministero Turismo e Spettacolo e si crei il dicastero della Cultura. In Germania ci sono due categorie di orchestre: una decina delle Radio per le quali paga lo Stato. Ci sono poi le orchestre raggruppate in associazioni che sono finanziate dalle singole città di appartenenza». C'è speranza per l'Italia? «Sono pessimista. Si commettono troppe nefandezze». Armando Caruso In alto, a sin. Giulini. A d. il compositore Ferrerò e il ministro Boni ver In alto, a sin. Giulini. A d. il compositore Ferrerò e il ministro Boni ver