Specchi di Archimede, una leggenda in cenere
Specchi di Archimede, una leggenda in cenere Ricerca inglese: secondo le leggi dell'ottica sarebbe occorsa una lente di 420 metri quadrati Specchi di Archimede, una leggenda in cenere La scienza dimostra che non avrebbe potuto bruciare le navi romane LONDRA. Gli scienziati lo dicono da tempo, che i libri di scuola sono poco attendibili quando parlano degli specchi ustori con i quali Archimede, nel 213 a.C, avrebbe bruciato le navi del generale Marcello impegnato nell'assedio di Siracusa. Secondo la leggenda, lo scienziato avrebbe raccolto con una serie di specchi i raggi del sole e li avrebbe poi diretti sulle triremi - non è ben chiaro se sul fasciame o sulle vele. Ora però qualcuno dice che la grande invenzione non c'è stata perché non ci poteva materialmente essere: sarebbe andata contro le leggi fondamentali dell'ottica. Lo ha dimostrato un ricercatore del Dipartimento di Scienze Planetarie dell'Università di Leicester, Allan Mills, con un suo giovane studente, Robert Clift. L'articolo è apparso sull'ultimo numero dell'«European Journal of Physics». Per infiammare anche solo un'asse di trireme, Archimede avrebbe dovuto utilizzare uno specchio di 420 metri quadrati, che naturalmente la tecnologia dell'epoca non era in grado di offrire. Non si conoscevano infatti i processi di argentatura che trasformano un vetro in uno specchio né si era in grado, con i metalli lucidati che ne erano il modesto surrogato, di costruire grandi superfici specchianti. Se anche Archimede fosse riuscito a schierare sulle pendici di una collina a mezzogiorno, cioè nelle condizioni ideali, 440 uomini, ognuno con uno specchio di un metro quadrato, avrebbe comunque prodotto un raggio capace di incendiare al massimo un asse di un metro per mezzo, a 50 metri di distanza. Un danno minimo, al quale i romani avrebbero tranquillamente rimediato gettando sul fasciame riscaldato un po' d'acqua di mare. L'insuccesso è nella logica delle cose, non nell'inettitudine di Archimede. Come spiegano i due fisici inglesi, è difficilissimo concentrare in un punto specifico i raggi solari perché, quando vengono riflessi da uno specchio sia piano che concavo, tendono a divergere. Eppure, si legge nell'articolo, tutti i libri di testo, anche quelli universitari, curiosamente tacciono su questo comunissimo fenomeno. I raggi solari colpiscono la superficie della Terra - e quindi anche l'eventuale specchio con un'energia pari a un kilowatt per metro quadrato. Per averne a disposizione una quantità sufficiente a incendiare un oggetto lontano, occorre una superficie di raccolta immensa. Poi però, perché l'oggetto prenda fuoco, quest'energia va concentrata in una superficie minima. Un compito immane, mai riuscito a nessuno, neppure ad Archimede. [m. ver.] Archimede raffigurato in una formella di Giotto
Persone citate: Allan Mills, Robert Clift
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