Così è diventato un Far-West il paese-oasi di Sciascia di Cesare Martinetti

Così è diventato un Far-West il paese-oasi di Sciascia Così è diventato un Far-West il paese-oasi di Sciascia LE LUPARE DI RACALMUTO RACALMUTO DAL NOSTRO INVIATO Qui a Racalmuto è cominciato tutto con Sciascia, non Leonardo, ma Francesco, 57 anni, piccolo possidente, uomo solitario e silenzioso, che un mattino del luglio 1990 viene trovato ucciso, un colpo di fucile alla nuca, calibro 16, nella sua campagna, in contrada Cometi. Un mistero. Erano ventuno anni che a Racalmuto non si uccideva, si rubava poco, si vivacchiava poveri, ma sereni, come - dice il vecchio maresciallo Ciampi - in «un'oasi». Poi è proseguito con una lupara bianca, Salvatore Alaimo, 28 anni, due figlie, scomparso dalla sala giochi di corso Garibaldi la sera del 17 dicembre e mai più ritrovato. Poi ancora i colpi della lupara «nera» che in due mesi uccide il vecchio e bonario capomafia Alfonso Alfano Burruano e il giovane arrembante scalatore, Alfonso Sole. E via via, da una strage all'altra, una volta due morti, un'altra quattro, l'ultima - dieci giorni fa - tre, sempre in corso Garibaldi, tra la macelleria «Punto carne» e il bar Blob, in questo pezzo di strada ancora segnato dal gesso dei carabinieri: ecco là sul muro il buco lasciato dal proiettile numero 48, più lontano quello numero 53. Grosso modo sessanta colpi in tutto, tre morti: un mafioso, un I uomo sospettato di esserlo, un altro certamente innocente, il povero Anzalone, ebanista, emigrato a Parma, tornato al paese per la «festa» (in Sicilia si dice così) dei morti e morto anche lui con in mano il pacchetto delle scaloppine acquistate per la cena. Decine di persone sfiorate dal piombo: erano le 7 di sera. Ieri mattina Racalmuto appariva un paese chiuso. Abbassate le saracinesche, vuote le strade, sottovoce i gruppi di pensionati al patronato Acli e alla lega zolfatai e salinai, chiusa la porta della fondazione Sciascia, al primo piano sotto il porticato del municipio. Non si potevano comprare i giornali, nemmeno bere un caffè. Due sole ragazze in Duomo. Alle 10,30 erano tutti di nuovo davanti alla macelleria della strage e di qui è partito il corteo con i bambini dell'asilo, quelli delle elementari, delle medie, i ragazzi dell'istituto tecnico, 0 gonfalone del municipio, il sindaco, i pensionati, un bel po' di gente normale. In testa a tutti i ragazzacci del «comitato cittadino», i nipotini di Leonardo Sciascia, il cui ricordo fa di questo paese a diciotto chilometri da Agrigento un posto speciale, simbolico, un luogo dove sulla mafia si ragiona e non si grida. Qui, nel paese del grande scrittore, si viene in pellegrinaggio, ci si sente obbligati a camminare in punta di piedi come in un l santuario, si guardano le pietre e le facce con un'attenzione diversa pensando al Giorno della civetta e a don Mariano, il vecchio patriarca mafioso così simile a questo Alfonso Burruano, uomo di pace e di rispetto, la cui morte ha aperto la faida di Racalmuto. Qui soprawvive Malgrado tutto, il giornale fondato 10 anni fa da giovani che da Sciascia ottenevano la benedizione e alcuni distillati e preziosi articoli. Proprio da Malgrado tutto è partito il primo allarme, la protasta, la denuncia contro chi dovrebbe fare e non fa. Adesso qui è accaduto che cinquantasei cittadini, molti giovani (tutti firmati con nome e cognome, in ordine alfabetico, da Calogero Alfano a Renato Volpe), han¬ no sottoscritto una lettera al presidente Scalfaro, «stanchi dell'arrogante violenza mafiosa e della latitanza delle forze dell'ordine»: diciassette omicidi in due anni, agguati, attentati dinamitardi contro le imprese, un clima di sospetto e di intimidazione che si taglia a fette. Al Presidente chiedono di verificare il lavoro di questura e prefettura, che vengano inviati poliziotti e carabinieri preparati a difendere la gente, che il Consiglio superiore della magistratura riempia adeguatamente le tante caselle vuote negli organici dei giudici, che si apra a Racalmuto un commissariato di polizia e un presidio militare. Per rendere pesante la richiesta i ragazzacci del paese di Leonardo Sciascia ci hanno caricato sopra due provocazioni: la richiesta di dimissioni di prefetto e questore (che però non compare nella lettera ufficiale a Scalfaro) e la richiesta di porto d'armi firmata da un migliaio di cittadini. Se lo Stato non sa difenderci, lasciate fare a noi. In testa al corteo, in cui i bambini delle elementari «Generale Macaluso» con il grembiulmo blu portano un cartello che dice «Guardate i nostri occhi, sono come quelli dei vostri figli, fermate la mafia», c'è l'anziano maresciallo Ciampi, non in veste di manifestante, ma in quella di carabiniere. E' di Avellino ed ha un'età che gli consente di dire di averne viste di tutti i colori. Vorrebbe dire, ma non può. Si capisce che si sente lasciato solo in mezzo al Far West. Aveva proposto il soggiorno obbligato per due mafiosi, gli hanno detto no. (Ma un po' di tempo dopo i due sono stati ammazzati). Da Racalmuto è partito un rapporto con i cinquanta nomi di mafiosi e fiancheggiatori, ma nessuno ha risposto. Una volta qui c'era la pretura e adesso neanche più quella, spostata nel capoluogo dove - dicono qui - ci sono «quattro femminuzze che non sanno nemmeno farsi il segno della croce». Anche il maresciallo Ciampi ha i suoi ricordi con Leonardo Sciascia: «Mi interrogava e stava ad ascoltare». A noi dice soltanto di sapere per certo che la mafia ha brindato il giorno in cui è stato approvato il nuovo codice. E aggiunge che anche da queste parti i non è cambiato niente: «Si fanno le manifestazioni, ma non si trova mai un testimone, non dico per un nome, ma neppure per il colore di un'auto che scappa». Lo Stato? I nipotini di Leonardo Sciascia, qui nella piazza del paese dove il vento del Nord si avverte come una condanna della storia, dicono: «Dobbiamo essere noi, voghamo continuare a sentirci parte dello Stato italiano». Si arrabbiano quando il sindaco prende anche lui il microfono. Il potere è qui una lunga lista di appalti mutili per strade faraoniche che portano nelle campagne, centri sportivi che non si vedono, concorsi clientelati che favoriscono anche i parenti dei consiglieri comunali, aiuti a pioggia come le 480 mila lire al mese che la Regione dà a circa 40 mila giovani siciliani. In primavera i ragazzi di Racalmuto hanno anche raccolto firme per la richiesta di referendum Giannini per l'abolizione dell'aiuto straordinario nel Mezzogiorno. Basta ai miliardi buttati come i 14 mila milioni investiti nella fabbrica di calce Castagna, sulla strada per Caltanissetta: doveva dare almeno cento posti di lavoro, invece è finita da 5 anni ed è ancora chiusa. Ed è la vera disperazione: alle elezioni il più votato è stato il de Eduardo Avarello, «collocatore» comunale. Cesare Martinetti Dopo vent'anni di pace, è esplosa la guerra di mafia con delitti a catena Il maresciallo: si fanno i cortei ma non si trova mai un testimone Racalmuto protesta. Qui accanto: Sciascia e Falcone