«Potevo salvare Moro, mi bloccarono» di Giovanni Bianconi

«Potevo salvare Moro, mi bloccarono» Buscetta all'Antimafia: dovevo incontrare le Br nel carcere di Torino, qualcuno me lo imoedì «Potevo salvare Moro, mi bloccarono» Ma la de e gli ex delle Brigate Rosse «Bugie, nessuno si è rivolto ai clan» ROMA. Davanti alla commissione antimafia Buscetta parla a metà: non fa i nomi, rimanda a quello che dirà ai magistrati. E i misteri della storia d'Italia su cui si dilunga, dal caso Moro al delitto Dalla Chiesa, per adesso restano tali. Sul caso di Aldo Moro il pentito racconta: «Fui contattato, ma ne vorrei parlare ai giudici, ho da suggerire loro di andare a rintracciare delle bobine telefoniche che appartengono a dei processi, nelle quali si parla molto chiaramente dell'interessamento per essere trasferito in un carcere per andare a parlare con il brigatista per chiedere di salvare la vita di Moro... Si deve avvicinare la persona che telefonava, anche a mia moglie, per dire che stavano facendo il possibile perché "Masino fosse trasferito a Torino". Ma poi fui trasferito a Milano, e poi a Napoli. Avrei dovuto andare a Torino per prendere contatto con qualcuno». Il contatto per ottenere la liberazione di Moro, insomma, non andò in porto. Chi aveva deciso di intervenire? «La commissione - risponde Buscetta - ma anche elementi della malavita milanese. L'elemento milanese è chiarissimo nelle telefonate... Credo che la commissione fosse d'accordo, altrimenti Stefano Bontade non si sarebbe lanciato a capofitto in una cosa di questo genere». Ma un altro pentito di mafia smentisce Buscetta su questo particolare; è Francesco Marino Mannoia, che ha deposto davanti ai giudici romani più di un anno fa proprio sul caso Moro. Durante la riunione della commissione - riferisce Mannoia - Pippo Calò disse a Bontade: «Stefano, ma ancora non l'hai capito? Uomini politici del tuo partito (la de, ndr) non lo vogliono libero». Mannoia racconta di una spaccatura dentro la cupola mafiosa sull'opportunità di adoperarsi in favore del presidente.de prigioniero delle Br: favorevoli erano Bontade, i cugini Salvo, Gaetano Badalament; contrari Calò, Totò Riina, Michele Greco. Ad interessarsi per far ottenere lo spostamento di Buscetta nel carcere dove avrebbe dovuto incontrare i brigatisti fu Calò (contrario all'intervento), che sbagliò carcere, come conferna lo stesso Buscetta. Il «cassiere» della mafia si scusò con Bontade dicendogli che il funzionario del ministero della Giustizia al quale si era rivolto «aveva compreso male quanto richiestogli». Anche dal carcere di Milano, comunque, Buscetta continua ad occuparsi di Moro; sono gli ultimi giorni del sequestro, maggio 1978. La verità su questi giorni, insiste il pentito, è nelle intercettazioni telefoniche milanesi. «Incontrai quello che si doveva interessare di me - racconta Buscetta - e che mi dà i verbali delle intercettazioni delle bobine dove si parla di tutto questo... Questo di cui parlo e che dirò ai giudici, mi viene a trovare dentro il carcere. Io gli dico che i terroristi che sono lì non sono in grado... se potessi andare a Torino incontrerei degli altri. Allora mi disse che si sarebbe interessato, che ne avrebbe parlato con un ministro, chi lo scoprirete nelle bobine... In altre telefonate era in contatto con le persone di Roma che avrebbero attuato il mio; trasferimento. Nelle telefonate c'è appunto: "E allora questi pezzi di merda non vogliono salvare Moro". La spiegazione è tutta nelle bobine». Il presidente dell'Antimafia Violante spiega a Buscetta che dagli atti non risulta la presenza dell'ex-mafioso a Milano nel '78. Buscetta ribatte: «Sono stato a Milano anche prima del '79, non me lo sono sognato. Sono stato tradotto dai carabinieri, da Cuneo». Due dei capi brigatisti dell'epoca del sequestre Moro, Franco Bonisoli e Lauro Azzolini, bollano Buscetta come bugiardo. «Credo che si sia inventato tutto», dice il primo; «Sono tutte fandonie - aggiunge Azzolini che per un periodo fu rinchiuso nello stesso carcere del pentito, e che per il capo storico delle Br Franceschini potrebbe invece essere l'uo¬ mo contattato da Buscetta -, cose che non mi interessano». Dall'altro versante della trattativa narrata dai mafiosi, la de, stesso atteggiamento. Dice l'avvocato Giuseppe De Gori, rappresentante delllo scudo crociato nei processi contro le Br: «Nessuno si è rivolto alla mafia per interessarla alla salvezza dell'onorevole Moro». Il giallo dei rapporti tra mafia, de e Br per la liberazione di Moro, dunque, non si risolve, ma anzi si intreccia con un altro mistero, l'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Buscetta ha svelato che già nel '79 qualcuno voleva farlo fuori rivolgendosi alla mafia, e che fu lui stesso a chiedere alle Br (stavolta il contatto ci fu) se avessero accettato di rivendicare l'omicidio. Il collegamento con la scoperta del covo Br di via Monte Nevoso (ottobre 1978) viene naturale. Il generale si occupò di quella vicenda che ha avuto aspetti misteriosi fin da allora (furono trovate solo alcune copie degli interrogatori di Moro, e lo denunciò lo stesso Dalla Chiesa alla commissione parlamentare d'inchiesta), finché due anni fa non saltarono fuori copie di altri verbali, sempre in quel covo. C'erano rimaste per 12 anni o qualcuno ce le aveva rimesse? E perché non furono trovate nel '78? Quando poi Dalla Chiesa fu ucciso per davvero, nel 1982, nella cassaforte della sua residenza palermitana fu trovata una scatola vuota. «Non avevo mai pensato - dice il figlio Nando - che mio padre fosse stato mandato in Sicilia per farlo uccidere. Ora comincio a pensarlo». Giovanni Bianconi ^ Il cadavere di Aldo Moro, vittima delle Br, come venne ritrovato in via Caetani a Roma, chiuso nel bagagliaio di una Renault