L'economia di Venosa parla solo il latino di Orazio di Lorenzo Del Boca

L'economia di Venosa parla solo il latino di Orazio Presente Scalfaro, la città natale del poeta ha concluso le celebrazioni internazionali per i duemila anni dalla morte L'economia di Venosa parla solo il latino di Orazio Dodicimila abitanti, una fabbrica di fuochi d'artificio e tanto turismo «studioso» COME VINCERE LA POVERTÀ' VENOSA DAL NOSTRO INVIATO Il viceministro della Pubblica Istruzione finlandese Jakko Numinem è arrivato a Venosa, in Basilicata, per ricordare i duemila anni della morte di Orazio e l'ha fatto parlando in latino. Come il direttore della radio nazionale Tuomo Pekanen, che ha raccontato di un suo notiziario di attualità trasmesso in quella lingua antica che le università classificano come «morta». Assicura: gli ascoltatori aumentano. Per gli accademici di mezzo mondo questa ricorrenza è un'occasione speciale per confrontare tesi spesso suggestive e a volte improbabili sulla vita del I secolo avanti Cristo. Mentre Venosa si aggrappa alle satire di Orazio come a un veicolo di propaganda che conforti un'economia altrimenti vacillante. Con una sola fabbrica di fuochi d'artificio, senza i pullman di tu- risti, Venosa - 12 mila abitanti sarebbe in fondo alla classifica del reddito prò capite, in media con gli altri centri della Basilicata. Invece, sulla poesia antica ha costruito quattro alberghi, 250 posti letto e 1400 coperti ai ristoranti in gran parte sempre occupati. Un business intelligente. Ieri, il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro ha chiuso le celebrazioni ufficiali, ma gli stranieri e gli studenti continueranno ad arrivare ancora. Orazio nacque il 65 a. C. in una casa di qui che, una volta, era ai margini dello sperone «di fronte alla larghezza dei campi coltivati» e che adesso è soltanto al limite del centro storico. Proprio a cavallo fra Basilicata e Puglia dove i coloni - scrisse - «arano sui due confini». Era figlio di uno schiavo liberato che ricordò sempre con gratitudine. «Invece di portarmi nella scuola di Flavio dove andavano i rampolli dei centurioni, osò condurre il suo ragazzo a Ro¬ ma perché apprendesse quelle discipline che imparano i figli dei senatori». Condizione indispensabile per entrare - come fece alla corte di Mecenate e di Augusto e da lì fra i giganti della letteratura. Studiò ad Atene, si interessò di politica schierandosi con gli assassini di Cesare, Bruto e Cassio, e finì per trovarsi dalla parte dei repubblicani nella battaglia di Filippi. Non erano cose per lui: si spaventò tanto da buttare via lo scudo e scappare come una lepre il più lontano possibile. Solo un pizzico di pudore al momento di ricordare: «La fuga veloce provai... quando spezzata fu la virtù». Trovò un lavoro come scriba in un dicastero dell'amministrazione finanziaria della Roma imperiale, ma preferiva le odi che gli consentirono una scalata sociale invidiabile. Morì a Roma l'8 a. C, duemila anni fa. Probabilmente, dopo averla lasciata da studente, non tornò più a Venosa ma la sua poesia resta legata a quella terra «là dove l'Ofanto violento strepita». Il profumo dell'erba matura, il gusto di raccontare i piccoli fatti della vita di tutti i giorni, il piacere del pettegolezzo. Come dimenticare le foreste del Vulture e i campi scottati dal sole? Certo, Venosa non si è dimenticata di lui. Allora il paese era un centro in espansione che contava più di 50 mila abitanti, nodo strategico e commerciale della Via Appia. Poi la strada è stata deviata di qualche chilometro ed è bastato perché Venosa entrasse a far parte di quel Meridione lontano e dimenticato fatto di emigrazione più che di lavoro, di isolamento più che di sviluppo, con la gente - contadina per necessità che parla ancora dandosi del voi, con tutte le diffidenze e, insieme, la rassegnazione della campagna. Per questo Orazio vale più del ministro Vincenzo Tangorra, suo compaesano del XVII secolo. A questo un busto con dedica; ma a quello la statua sul piedistallo, in mezzo alla piazza: alla destra la sezione della de che propaganda un numero telefonico verde a disposizione di delusi, scontenti e arrabbiati, a sinistra la sede «Gramsci» e l'insegna luminosa del pei, che è rimasta non si sa se per nostalgia, noncuranza o mancanza di soldi per sostituirla. Il paese ha conservato le vecchie vie lastricate, le case di sasso, i ricordi antichi. I ragazzi della scuola di canto propongono il «Carmen seculare»; gli attori del teatro mettono in scena le opere del poeta; il gruppo folk muove i passi delle danze latine. Ancora: un matrimonio celebrato secondo i riti di venti secoli fa; i burattini che vengono mossi per far loro recitare la prima satira; l'osteria che è diventata una «taberna vinaria». Il negozio di alimentari porta l'insegna di «Gastromarket horatiano» scritto, correttamente, con l'h e la t. Il night - ammiccante - è «la Corona imperiale». Tuttavia, sbaglierebbe chi pensasse a un'industria della cultura banalizzata dal kitch. Gli organizzatori delle celebrazioni per il bimillenario, a conlinciare dal sindaco Bruno Tamburiello, hanno assicurato un alto livello scientifico dei convegni. Sono state premiate le migliori tesi di laurea su Orazio: prima Cristina Bracchi di Torino, poi Carmine Cassarino di Palermo e Annamaria Grimaldi di Roma. Il prof. Domenico Chieffo ha passato la vita a studiare le opere di Orazio e le ha tradotte nel dialetto di Venosa. In paese ci sono due case editrici: 1'«Appia Due», attenta agli studi storici della regione, e !'«0sanna Venosa» del prof. Antonio Vaccaro che si occupa delle edizioni critiche delle opere di Orazio. Il quale aveva ragione quando diceva di sé: «Ho costruito con la mia poesia un monumento più duraturo del bronzo». Lorenzo Del Boca Nozze celebrate con i riti di 20 secoli fa Il presidente Scalfaro a Venosa per il bimillenario oraziano