«Caro Fidel, vattene e ti salveremo ia faccia» di Mimmo Candito
«Caro Fidel, vattene e ti salveremo ia faccia» CARLOS ALBERTO MONTANER «La gente ha fame, l'embargo americano è ingiusto ma è soltanto un alibi per la catastrofe» «Caro Fidel, vattene e ti salveremo ia faccia» II capo dell'opposizione: il castrismo non deve finire nel sangue LA fame si fa dura a Cuba, quest'anno. Il raccolto della canna da zucchero, la «zafra» delle antiche passioni internazionaliste, si sa già che è il più basso del decennio, e manca il petrolio, manca l'elettricità, mancano la carne e il latte, mancano le ruote dei trattori, le punte dei torni, i vestiti. Quanto durerà ancora Castro, comandante canuto di una rivoluzione che va morendo? «Non arriverà al 2000, certamente. Ma il vero problema non è questo di una data, il problema è come finirà. Spero soltanto che non sia come Mussolini o come Ceausescu». Carlos Alberto Montaner, una cinquantina d'anni indossati giovanilmente, è l'antiCastro presentabile. Guida dall'esilio la coalizione dei partiti che si chiama Plataforma Democratica (liberali, democristiani, socialisti) ed è in Italia per accompagnare l'uscita del suo libro «Vigilia della fine». Oggi vedrà anche il pre- sidente Amato. Montaner è una cosa. Poi c'è l'antiCastro meno presentabile, Jorge Mas Canosa, padrone della Fondazione Cubana, lobby ultrapotente stanziata a Miami, che è un'altra cosa. La Fondazione crede che una fine come Mussolini o come Ceausecsu sia una meraviglia. «Bisogna dirlo, che si è contro una fine violenta del castrismo. La violenza significa la guerra civile a Cuba, migliaia di morti, sofferenze, forse anche un altro regime di pretoriani. No, bisogna sacrificare il diritto della giustizia al dovere della pacificazione». Però Mas Canosa ha i soldi e l'appoggio Usa. Voi? «Clinton non è Bush, e poi la Florida non ha votato democratico: q^uindi Clinton non ha obblighi da saldare». E l'embargo americano? «Esiste, certo, ma incide solo marginalmente sul fallimento dell'economia cubana; è il comodo alibi di una catastrofe. Co- munque noi siamo contrari a questo embargo». Come finirà? «Ci sono tre uscite. 1) La rivolta popolare, per l'insopportabihtà della crisi. Una roba romena. Ma non ci credo, repressione e controllo poliziesco sono durissimi. 2) Il putsch di colonnelli. Difficile, le forze armate sono state formate da Castro e su Castro, anche se alcuni segnali non sono mancati e il ministero degli Interni è stato perciò militarizza¬ to. 3) Wagner. Sprofonda il regime, ma sprofonda anche tutta l'isola dopo un bombardamento, per esempio, della base Usa di Gu antan amo». E allora hanno ragione i cattivissimi di Mas Canosa? «No. Bisogna invece creare un ponte tra il regime e il mondo di fuori. Bisogna dare una mano a Castro, offrirgli la via onorevole di una uscita concordata». Ma lei, come ogni oppositore, non è un agente Cia? «Naturalmente... E come Arrabai, ho anche visto la Madonna». E allora, qua! è la mano tesa? «Bisogna convincere Castro che non voghamo nessuna Norimberga, che non ci saranno processi né vendette. Che nessuno vuole riprendersi la casa che aveva un tempo, né distruggere la sicurezza sociale creata dalla Revolución. Penso alla Spagna e alla fine del franchismo». Lì però c'era l'elemento di unificazione super partes che fu la monarchia. «A Cuba non si deve escludere nessuna possibilità. Perfino, che so, che possa essere lo stesso Castro ad assumersi questo ruolo super partes. Un harakiri di grande valore politico. Pensiamo a com'è finito il comunismo in Ungheria». Quanto è probabile? «Ancora poco. Anche perché Fidei soffre della sindrome himalayana, che lui deve sfidare da solo il mondo e vincerlo. Costi quel che costi». E quanto costa? «Purtroppo, molto. All'Avana oggi si fa davvero la fame. Ci sono documentazioni riservate che mostrano una netta caduta nell'approvvigionamento calorico di bimbi e madri». Ma perché la società cubana sopporta passivamente? «Per tre paure. La prima è la paura dell'ignoto, che hanno tutte le società in crisi. Poi c'è la paura del revanscismo di quelli dell'esilio, che vogliano tornare a fare i padroni. E infine, la paura di perdere quel poco che si ha». Non crede che ci siano altri sentimenti anche, altri legami tra la società e il regime? «No, quello che prevale è soltanto la paura, il terrore. Come in qualsiasi altro Paese dell'Est, prima del Muro». Ma a Cuba il regime è stato anche la Revolución, non il regalo forzato dell'invasione dell'Armata Rossa. E' valso molto, vale ancora qualcosa? «C'è stato, sì, è vero; ma comunque non conta più. Solo il 10 per cento dei cubani appoggia il regime». E il progetto di riforma elettorale? «Il Gattopardo. Le candidature debbono passare al vaglio sostanziale del partito, dunque non c'è libertà reale di scelta. Il fatto è che Castro ha paura: voleva essere Bolivar, teme di firnre come Honecker». Castro dice che la Storia lo assolverà. E voi? «Castro è un poveruomo, ormai, è il prigioniero della sua uniforme rivoluzionaria. E la Storia non lo assolverà, né lui né l'intero disegno delle rivoluzioni latinoamericane». Mimmo Candito «Il dittatore non arriverà al Duemila Ma temo che cada come Ceausescu» Un'immagine di Fidel Castro La situazione economica di Cuba è sempre più grave: mancano petrolio, carne, latte, energia e il raccolto di canna da zucchero sarà il più basso del decennio
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