E Baggio sta a guardare di Roberto Beccantini
E Baggio sta a guardare E Baggio sta a guardare «Finalmente sono un punto fermo» FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO Non gli sembra vero. Nel mirino ci sono Vialli, Lentini, Signori. Lui no. Roberto Baggio viaggia, come sempre, in prima classe. Ma questa volta nessuno controlla se il posto corrisponde al biglietto: fuor di metafora, nessuno gli chiede dove ha prenotato. «Tanto - sbuffa - gioco dove voglio». All'attacco. Due ultras deha Fiorentina, memori di quello che ha lasciato, passano sopra al nuovo indirizzo e se lo coccolano. Quattordici gol in Nazionale (su 24 partite), lo stesso bottino di Gianni Rivera e Giovanni Ferrari. Nel mirino, a 15, c'è proprio Vialli: ma anche Colaussi, Libonatti e Schiavici. Più su, Roberto Bettega (19). E più su ancora, Paolo Rossi (20). Una cosa per volta. Il debutto di Baggio risale a quattro anni fa: Italia-Olanda 1-0 a Roma, gel di Vialli. Era il 16 novembre '88. Mercoledì, Glasgow. Tappa cruciale. Baggio sorride, stupito di essere periferia, e non centro, della formazione, dei dibattiti. «Ma se non segnavo quei due gol all'Ancona, entravo in crisi anch'io. Matematico». Allude, con quell'anche, a Gianluca. Si liscia il codino e scaccia gli avvoltoi: «Chi ha detto che non gioca? Contrattura a parte, Vialli è all'80-85 per cento della forma. Dunque, quasi al massimo. Gli manca solo il gol, e non è una frase fatta. Un attaccante che non segna si sente come uno che ruba lo stipendio. Invece no, Vialli è prezioso anche così. Ci pensa troppo, forse. Dategli una rete d'appoggio, magari già in Scozia, e ne riparleremo. Non è Vialli il problema. Né qui, in Nazionale, né alla Juve». E allora, qual è? Baggio divaga, Baggio ammicca, Baggio fa l'indiano: «Se la squadra mi aiuta, diventa tutto facile, ma se non mi aiuta, ci rimetto io e ci ri¬ mette la squadra. Meditate, gente, meditate». Avanti pure: «A Firenze mi vogliono sempre bene, a Torino non ancora, o non abbastanza. Da due anni a questa parte vengo additato come l'unico colpevole. Quando segno, i gol non contano; quando non segno, sono in crisi. Allegria». Sarà. Se gli almanacchi lo inchiodano (trofei zero), Sacchi lo sprona: è a due terzi del cammino, aiutiamolo a compiere l'ultimo, decisivo balzo. Baggio accetta la sfida: «Felicissimo di essere un punto fermo, ma il posto in squadra non è un'eredità, va conquistato e difeso, e poi i Mondiali sono così lontani». Grande con i piccoli, piccolo con i grandi: è un'etichetta nella quale non si riconosce. Scozia, derby, Coppa Uefa e Milan gli offrono lo spunto, e che spunto, per ribaltare dicerie e cattiverie. A 26 anni, Roberto Baggio è costretto a rimettersi sempre in discussione. Anche quando non lo è, come adesso. Pensa a Vialli, prigioniero di un furore che rischia di trascinarlo sull'orlo di una crisi di nervi: «E' nervoso perché non segna, e portato a strafare perché è nervoso. La ricetta peggiore per guarire dai suoi incubi». Ci vorrebbe uno psicologo. Per carità, dopo tutto quello che la categoria ha detto sui calciatori... «Ho letto - spiega Baggio -. Non siamo polli e neppure stupidi. Persone normali che fanno un lavoro che solo in Italia non è normale». E Signori? Che rimanga ruspante nei secoli, si augura l'Arrigo. Baggio vola più basso: Beppe è un tipo svelto, si troverebbe bene anche al mio posto. Con lui o senza di lui, cambia poco. L'idea di un Vialli trombato, proprio non lo sfiora: e non solo per interessi di bottega. Baggio plaude al turn over. La Nazionale è come il Milan: ha una trama, ha degli schemi. Il gioco scorre su binari precisi. Non si vive alla giornata, e sui colpi di genio, come alla Juve. Il contratto che lo lega a Boniperti scade il 30 giugno '93. Tempo al tempo. Precedenza a Glasgow. Baggio prepari la rincorsa: per i salti in alto, e di qualità, Ibrox costituisce, da sempre, una suggestiva pedana. Roberto Beccantini
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