SI CHIUDE L'ASTA DEI PRIVILEGI di Mario Deaglio
SI CHIUDE L'ASTA DEI PRIVILEGI SI CHIUDE L'ASTA DEI PRIVILEGI LE privatizzazioni stanno ricevendo, nel mondo politico e nell'opinione pubblica, proporzionalmente più attenzione di tutte le altre misure che compongono la manovra economica del governo, pur costituendo (con 7 mila miliardi di entrate previste sui complessivi 93 mila) solo un utile coadiuvante, non certo l'elemento essenziale dell'amara medicina somministrata agli italiani. La possibilità che il governo si liberi definitivamente di qualcosa di pubblico, che lo Stato esca per sempre da certi settori scatena opposizioni viscerali, risveglia emozioni, viene vissuta come una sorta di amputazione da parte di italiani di ogni tendenza. Perché? Un primo motivo è che la politica delle privatizzazioni costituisce la fine di privilegi molto diffusi nella società e sparsi capillarmente sul territorio. Questi privilegi sono stati a lungo, prima di degenerare, parte integrante dell'equilibrio sociale italiano. Di fronte alla prospettiva che la privatizzazione porti alla perdita di un'implicita garanzia di impiego per centinaia di migliaia di lavoratori occupati, certo in maniera inefficiente ma senza altre possibilità di lavoro, in zone povere del Mezzogiorno non può non esserci un attimo di esitazione. Il secondo motivo è di tipo storico-politico. L'Iri esiste da oltre mezzo secolo, le Ferrovie sono pubbliche da quasi novantanni, i tabacchi sono sempre stati monopolio pubblico. L'intervento in molti settori dell'economia è intimamente connesso alla natura stessa dello Stato italiano. La privatizzazione viene, consciamente o inconsciamente, associata da molti allo smantellamento di questo Sta to. A fronte di queste obiezioni Mario Deaglio CONTINUA A PAGINA 2 PRIMA COLONNA
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