Hampton, l'ultimo dei re

Hampton, l'ultimo dei re Torino, concerto stasera all'Auditorium, lunedì a Milano Hampton, l'ultimo dei re E il suo jazz non tramonta mai TORINO. E' l'ultimo grande vecchio, Lionel Hampton, ottant'anni suonati (lui dice di essere del '13 ma sul passaporto è scritto 1909, 12 aprile), e sopravvive agli altri illustri maestri che ormai cantano il blues per la Spoon River del jazz. Se ne sono andati Armstrong. Ellington, Basie, Goodman, i «king» degli anni Trenta e Quaranta (riscoperti in Italia nel Dopoguerra) che hanno inventato la storia dello Swing quando il jazz era la musica che faceva ballare la gente e la gente si divertiva. Musica popolare che tuttavia sapeva dare una nuova sintassi per rinnovare un approccio con i classici «improvvisi», con le obsolete «variazioni». Partito dal nulla, con quegli uomini il jazz entrava in breve e alla brava nella storia della musica contemporanea. Hampton, un gradino più sotto, è di quella razza e comunque regge il confronto con gli autorevoli coevi. Il suo successo è pari a quello dei big storici, in Europa e negli Usa. In Italia, particolarmente, Lionel Hampton ha sempre avuto un pubblico affezionato che affolla puntualmente i suoi concerti con il «tutto esaurito». Le sue orchestre sono macchine da swing e quando entrano in azione inventano la magia. Lirico esecutore di ballades, Hampton con il suo vibrafono sa come organizzare una band al tritolo che poi esplode con gli arrangiamenti più «caldi» di tutta la storia del jazz. Dal blues al boogiewoogie, con un uso ossessivo dei riff (in anticipo di decenni sul rock), con quella libertà d'azione concessa ai suoi solisti, Lionel Hampton porta in giro per il mondo la più eloquente campagna pubblicitaria per la musica afroamericana. Il suo modo di suonare è quello delle band che facevano musica per i folli dancers di Harlem: un tempo marcato, elastico e rimbalzello che accende il fuoco delle improvvisazioni e sostiene i sapienti arrangiamenti. Era saltato fuori nel '36 nel quartetto di Benny Goodman (con Gene Krupa e Teddy Wilson). Quei quattro stavano inventando lo Swing e con il loro jazz orecchiabile e raffinato divennero gli idoli di tutti i giovani americani. Nella seconda metà degli Anni Trenta, il nuovo stile di Goodman (e dei suoi) divenne un fenomeno paragonabile (per la vastità del seguito e per intensità) a quanto riusciranno a fare poi i Beatles con le loro canzoni. Lionel Hampton fu subito una star nella piccola Italia del jazz già ai tempi del fascismo. In principio i fans credevano che fosse un batterista perché proprio con i tamburi si presentò in un disco intitolato nella traduzione autarchica «Giovannino il campanaro» (Jack The Bellboy), un 78 giri della Voce del Padrone. E ancora oggi, il grande vecchio, si porta in giro la sua batteria perché a metà concerto si concede un siparietto da giocoliere con bacchette, piatti e tamburi. Il pubblico ama queste performances e Lionel è generoso. Usa tutti i vecchi trucchetti dei batteristi di un tempo quando insieme con la musica era importante fare show, divertire, comunicare. I minstrel. Buffonate, dicono i più radicali. Ma anche questo è jazz. Ha fatto fortuna. E' così ricco che ha costruito un ospedale e ne ha fatto omaggio alla sua città (Louisville, Kentucky). Nel '40 formava la sua prima band e ha un successo immediato che lo insegue fino a oggi. Tra i suoi sidemen si segnalano alcuni tra i massimi solisti di tutti i tempi: Joe Newman, Cat Anderson, Clifford Brown, Quincy Jones, Snooky Young, Art Farmer, Jimmy Cleveland, Jack McVea, Illinois Jacquet, Arnett Cobb, Dexter Gordon, Earl Bostic, Marshal Royal, Gigi Gryce, Charlie Mingus, Alan Dawson, Milton Buckner, Oscar Dennard. Quando ha rallentato l'attività musicale si è dimostrato un eccellente manager alla guida della Lionel Hampton Development Corporation che si occupa della costruzione di edifici a Harlem. Anche lui, come Frank Sinatra, è intervenuto nella campagna elettorale di alcuni candidati alla presidenza degli Stati Uniti. Questa volta Hampton darà due soli concerti in Italia; stasera (ore 21,30) all'Auditorium di Torino (organizzazione Aics e Centro Jazz, associati nell'impresa), dopodomani al teatro Smeraldo di Milano. L'attuale band è in tour per festeggiare il leader che compie i sessantacinque anni con il jazz. Della piccola band (Hampton più un ottetto) fanno parte Clark Terry, Harry Sweet Edison, Benny Golson, Andy MacGhee, Al Grey, Nat Pierce, Jimmy Woode e Bobby Durham. Alla grande. Franco Mondin. Con questa tournée europea Hampton festeggia i suoi 65 anni di attività nel mondo dello spettacolo Per l'occasione ha riunito una formazione di «all stars» . dove figurano anche i trombettisti Clark Terry e Harry Edison