Io operaio degli enigmi

Io operaio degli enigmi Incontro con lo scultore polacco Mitoraj, a Torino per vedere il Lingotto Io operaio degli enigmi Nel mito classico con un brivido surreale ~^jn TORINO Il cielo di Torino quando è I «grigio così» gli ricorda I Cracovia; e anche i porti*l ci, i tram, le pasticcerie e «queste case un po' gialle e dorate». Igor Mitoraj, scultore polacco che vive tra Parigi e i marmi di Pietrasanta, è venuto a vedere il lingotto attratto dall'archeologia industriale, Lo scenario freddo, gli spazi sterminati come stanze metafisiche possono esaltare la vita delle statue, gb piacerebbe esporre lì. Con l'archeologia lui ha un legame profondo perché le sue opere a prima vista potrebbero venir fuori dalle rovine di Atene o Paestum. Ma sono figure inquietanti in bronzo e marmo che hanno perso l'integrità, sono scoperchiate, frammentarie, mutilate, bendate. Come eroi vinti, divinità senza fedeh, guerrieri costretti a guardarsi dentro. Il mito classico è percorso da un brivido surreale, l'armonia è sospesa nel dubbio. Osservando quel mondo forse Mitoraj ha trovato come in uno specchio l'incerto oggi. A 48 anni è corteggiato da musei e committenti, ha «pezzi» in Giappone e negli Stati Uniti. Un Torso giganteggia davanti alla Tour Fiat di Parigi, un'enigmatica Bocca trionfa alla Coca-Cola di Atlanta, zampillerà acqua a Milano dalla Fontana del centauro. E proprio in questi giorni, fino al 22 novembre, c'è una sua mostra all'Accademia italiana di Londra (catalogo Fabbri) e un'altra nello Yorkshire. Un successo che sembra sfuggire all'onda delle etichette: post classico, post moderno, citazionista, surreale. E lui che definizione si darebbe? Mitoraj, uomo schivo, più amico dei metalli che delle parole, replica con un sorriso: «Un critico in Spagna mi ha chiamato "transneoclassico". Lo trovo divertente». Non ama quel linguaggio, detesta spiegare tutto» si difende: «L'artista dev'essere un operaio». Siamo in un ufficio del Lingotto, immenso corpo pronto alla resurrezione come certe sue statue. Lo incalziamo. Gb studi all'Accademia di Cracovia erano ispirati al realismo socialista? «Sì, c'era il realismo, c'era un comitato di giovani studenti comunisti. Ma il nostro atelier per 1' "amico sovietico" era una specie di covo di spioni. Io ho studiato con Tadeusz Kantor, facevamo esperimenti, anche di body art o di arte povera. E' stato lui a spingermi ad andar via». E' approdato a Parigi nel '68: faceva il pittore, com'è avvenuta la conversione alla scultura? «Per anni ho lavorato come barman o facchino. Ma andavo in tutti i musei. E un giorno ho avuto la rivelazione dell'oggetto tridimensionale». Come? «Avevo sempre voglia di fare la musa addormentata di Brancusi: quella famosissima testa sul cuscino, così arcaica, così perfetta». E ha cominciato a scolpire? «Ho cominciato con cose piccole, che stavano in mano, le chiamavo sculture tattili». La Grecia lo attraeva, è andato là diverse volte: cercava il mito? «Cercavo di capire come sono nate queste forme, da dove sono venute. Basta un pezzo, è ancora più forte della scultura intera, si lega bene alla memoria che è fatta di frammenti. Era una bellezza diventata banale, troppo con¬ sumata, un cliché. Ma ogni volta scoprivo qualcosa. Una statua di Alessandro Magno, messa dietro una porta al museo del Partenone, mi sembrava che guardasse dentro di sé. Sento la persona che ha fatto l'opera, c'è qualche segno lasciato lì. Ho avuto la stessa sensazione a Roma davanti a certi graffiti delle catacombe, quasi ci fosse un messaggio per me...». Si passa una mano sulla fronte: «E' come un regno delle sirene, pericoloso. Ci si può perdere. Ma è piacevole sentirsi amato da qualcuno». La solitudine, il tempo, l'enigma sembrano segnare le sue figure. Il mistero è dominante? «Se fosse tutto ovvio non ci sarebbe ragione di creare. Quando lavoro mi lascio prendere io stesso dal mistero di ciò che nasce. E la bellezza fa anche soffrire: perché sfugge, non si può possedere, è subito passata. Mi accade anche per opere appena fatte». E il tempo? «Cerco di dilatarlo o di accorciarlo. A volte faccio l'archeologo del futuro: metto gli esseri già fuori del tempo, come dietro lo specchio». Le bende che avvolgono certe teste rappresentano ferite? Resurrezione? L'inconscio? «E' soprattutto un'espressione di sofferenza». Quelle due teste marmoree dal fascino profondo, una fasciata e l'altro no, Coppia per l'eternità, che cosa vogliono esprimere? «Le opere sono imo specchio, ognuno vi scorge quello che vuole. Per me lì c'è la stessa persona con il passato e il futuro insieme. Accostati per sempre». Dopo il bronzo, il marmo di Pietrasanta: quale materiale preferisce? «Dipende dal momento, mi attraggono le cose che non conosco. Adesso sto facendo delle fusioni in ghisa a Bologna. Hanno una forza incredibile, una patina naturale...» E' vero che ormai c'è chi imita la sua patina bronzea? «C'è gente che imita tutto. Fanno un miscugbo tra me e Ivan Thimer e qualcun altro. I bendaggi poi li hanno fatti tutti». E perché quelle ultime teste dalle superfici tormentate e sconvolte, simili a relitti di un naufragio, a resti di un'interezza impossibile? «Vorrei trattenere l'immagine, ma solo intuita, come fosse ancora in una riva lontana». Quale riva sia Mitoraj non precisa e, stringendosi nel montgomery, se ne va fuori sul piazzale del Lingotto. A volte sembra entrare in un tempo bifronte, non si sa se le sue figure stiano per nascere o per morire. 0 entrambe le cose insieme. Ernesto Gagliano Arrivai a Parigi nel '68: fui barman e facchino, mentre visitavo musei Lo scultore polacco Igor Mitoraj. A sinistra: «Tindaro», un'opera del 1991