Catella, da Novo a Damilano

Catella, da Novo a Damilano L'ex delegato regionale Coni ricorda gii anni eroici e analizza i nostri giorni Catella, da Novo a Damilano Bravi tutti, anche chi non ha vinto nulla TORINO. Conoscere la città, e lo sport della città, sin nelle pieghe più nascoste. Aver fatto agonismo su più fronti quando l'atleta si comprava il panino e il biglietto di seconda per la trasferta. Accompagnare e capire l'agonismo d'oggi che si è capovolto: misurato sui soldi guadagnati e sull'impegno delle tasche di presidenti e sponsor. Non aver ancora perso, a 82 anni, la voglia di capire e conoscere: «Ci sono amici che la sera non escono più, per prudenza. Io credo che quando cominciano prudenza e paure, comincia a finire la vita. Non abbia fretta a scrivere questa intervista, tanto al Duemila ci arrivo di certo». Così è Vittore Catella. Uno dei pochi sportivi di Torino esente da presentazioni. Al massimo si può aggiungere una «chicca» che completa, se necessario, il personaggio: quando, ed è l'altroieri, ha celebrato il passaggio delle consegne di delegato regionale del Coni ad Alberto Ferrerò, agli amici di sport più cari ha consegnato tre paginette dattiloscritte: il suo curriculum. «A futura memoria», ci ha detto ridendo. L'inverno in arrivo gli pesa un po'. Spiega: «In questa casa (corso Re Umberto angolo corso Sommeiller, ndr) ci sto da sempre, anche se sono nato a Trivero Biellese. Ci stava mio padre. Ma i giorni di nebbia e di grigio mi tolgono la vista delle montagne. Peccato». Fra montagna, cielo e terra ha consumato, ma non esaurito, la sua gioventù. «Sono stato fra i fondatori del G. S. Massimo D'Azeglio, l'istituto della Maturità colta nel '28. La battaglia era con i ragazzi del Cavour, dell'Alfieri. Facevamo atletica nel vecchio stadio militare, dove ora c'è la caserma del 90° fanteria. Pista in carbonella, lunga 300 metri. Scarpe pesanti con chiodi lunghissimi. Correvo i 400.1 tempi? Adesso fanno meglio ai Giochi della Gioventù...». Poi il Politecnico (laurea in ingegneria aeronautica nel 1933, dopo aver già conseguito nel '31 il brevetto di pilota) e altri sport: hockey ghiaccio, rugby, volo naturalmente, ed i primi passi nel settore dell'organizzione sportiva. «Calma, non siamo stati degli eroi, non c'erano i problemi di oggi. Bastava la passione. Organizzare voleva dire riunire un gruppo di amici, comprarci maghe, attrezzi e fare qualcosa. L'atletica ce l'insegnava un certo Ricci di Alessandria, che veniva a Torino tre volte la settimana. Nel rugby ci allenava il francese Boucheron. Facevo anche sci e bob a due. Nel bob con Alba vincemmo il tricolore nel '33. Arrivò la guerra a disperderci. E come fu la ripresa dopo il conflitto, mentre nel calcio Ferruccio Novo costruiva il grande Torino? «Si ripartì tassello su tassello, trascinati dai leaders. Enzo Arnaldi era l'anima del giornalismo sportivo, con Vittorio Pozzo per il pallone. Che gente, che voglia di ricostruire. Aruga per l'atletica, Gaudino fra calcio e rugby, Diana per l'atletica, Cenni per il nuoto. E ancora Saini, Guabello e altri. Nomi poi passati a ruoli importanti nel Coni. Novo era l'anima del calcio torinese. Se quella splendida squadra non fosse morta nel '49, avrebbe continuato a vincere». E Catella? «Cominciavano a piacermi l'organizzazione delle gare ed i problemi dell'impiantistica sportiva. Nel '54 ero presidente del comitato provinciale del Coni». Intanto proseguiva l'impegno professionale nel volo. Catella ha pilotato più di 300 tipi di aereo. Primo a provare il G80 a Gallipoli, primo italiano a collaudare un apparecchio a reazione nel '51. Pericoli? «Sempre, malgrado la preparazione». Dell'Africa quali ricordi? «I pericoli, i sacrifici di tanti amici, i soccorsi e gli aiuti che siamo riusciti a portare anche agli indigeni. Era un dovere di uomini, senza colori a dividerci». Il tragitto verso gli Armi 90 è un viaggio zeppo di emozioni e di riconoscimenti, accompagnato dai suoi applausi per Primo Nebiolo «che tanto ha dato alla nostra citta ed allo sport mondiale», dal ricordo di Ardissone detto Tacu (di qui i Tacu Boys di rugby), dall'affetto per Berruti, Giusi Leone, Granieri, Ottoz, Damilano, la Belmondo e tanti altri. «Anche per chi non ha vinto nulla, ma come me si è divertito fra stadi, palestre, piscine». E dai ricordi splendidi di nove anni e mezzo passati alla guida della Juventus, dal '62 a metà '71. «Della presidenza, io che non era socio della Juve, lo seppi da un giornalista de La Stampa, Giulio Accatino. Anni di battaglie. Ci piaceva moltissimo Meloni. Gianni Agnelli mi chiese che cosa pensassi di una operazione che era già avviata. Avvocato, gli dissi, se lo prendiamo facciamo un brutta figura con il tifo granata, se non lo prendiamo diranno che lei è -un avaro. Meroni rimase al TororUn trasferimento sfumato che mi ha dato un solo grande dolore. Se Gigi fosse stato con noi, quella terribile sera non avrebbe attraversato corso Re Umberto...». Bruno Perucca Vittore Catella 82 anni e ancora tanta voglia di capire lo sport torinese «Quando affiorano la prudenza e le paure, comincia a finire la vita»

Luoghi citati: Africa, Alessandria, Gallipoli, Torino